Il Relatore della serata è stato il mitico Guido Invernizzi, che ha incentrato tutta la serata sulla sfida USA – FRANCIA e sottolineato come negli ultimi 5/6 anni, finita l’epoca dei vini “parkerizzati”, moltissimi proprietari americani hanno ingaggiato fior di enologi francesi di Borgogna e Bordeaux, ottenendo di fatto vini molto competitivi come qualità a prezzi del 30% inferiori. Tanto che alcuni produttori francesi emergenti, visti i prezzi impossibili dei terreni in patria, hanno cominciato ad investire non solo a Napa Valley (California), ma anche nell’Oregon e nello stato di Washington, ritenute ormai le nuove frontiere enologiche del Nord America.
Inutile dirvi che il re della serata è stato il celebre Opus One (degustato il millesimo 2007), il vino di Robert Moldavi ottenuto da una cuveé dei 5 vitigni bordolesi, ovvero cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, petit verdot e malbec. Di un bellissimo rubino intenso, al naso esordisce con una punta vegetale di peperone, indice del cabernet, per poi cedere il passo alla finezza del merlot con un continuo incedere di frutti rossi e neri – lampone e fragoline mature, ribes nero, confettura di mirtilli, ciliegie sotto spirito… stile ripieno del “Mon Cheri” !!! - e terminare su un finale di spezie che vanno dal pepe nero ai chiodi di garofano, tabacco e liquirizia. In bocca entra potente, caldo, rotondo, pieno, con una punta di tannini appena accennata ma che subito si scioglie nell’armonia dei profumi che richiamano quelli sentiti al naso. Il legno è dosato veramente bene, tanto che, contro ogni pregiudizio, non c’è traccia delle pesanti tostature a cui i vini americani ci hanno abituato. Che aggiungere, se non che Invernizzi lo ha paragonato ad uno Chateau Margaux (che non avendo mai bevuto, non vi posso dire se sia la verità! Però, notando i rispettivi prezzi, credo ci si possa fidare del buon Guido…).
Avendo cominciato dalla fine, pur negli sforzi e negli intenti di mantenermi breve, devo però segnalarvi anche gli altri vini, soprattutto perché c’è stata la sorpresa delle sorprese…
Il primo vino degustato, Argyle Brut Willamette Valley 2005 (www.argylewinery.com) è un ottimo metodo classico dell’Oregon a base di chardonnay (65%), con un terzo di pinot nero 35%. Veramente intenso ed elegante come profumi, minerale e lunghissimo in bocca… Meglio degli champagne pluripremiati che avevo bevuto qualche sera prima all’evento “Vendemmia in Via Montenapoleone” da Louis Vuitton!!! L’ho cercato su internet la mattina seguente e ho scoperto che ha preso 92 punti da Wine Advocate e 90 punti da Wine Spectator… Ma soprattutto costa solamente 30 US Dollars !!!
Gli altri vini, invece, li ho trovati così così. Uno chardonnay californiano barricato non filtrato (che quindi era un po’ opaco), bello corposo ma a mio avviso con un finale troppo affumicato, “macchiato” dall’abuso di tostatura sul legno, nonostante sia stato da molti definito degno di un “Mersault”. Un pinot nero sempre dell’Oregon (paragonato a un grande Hofstatter), servito fresco a 14/15°C per sacrificarne i profumi a favore della piacevolezza in bocca, ma che ho trovato un po’ deboluccio. Ed infine uno Zinfandel, anch'esso di Napa Valley, che era una “spremuta di prugne mature”, gradevole ma non indimenticabile.
Nel complesso, gli assaggi di OPUS ONE e la sorpresa sul metodo classico hanno ben valso la serata, il tutto corredato da ottima musica jazz che ha creato la giusta atmosfera.
Ed in attesa di una bella serata al Blue Note, che inseguo da quando sono arrivato qui a Milano un anno fa, ne approfitto già per farvi il comin’up della prossima recensione sul sorprendente barbera del Castello di Cigognola (PV), tenuta della Famiglia Moratti gestita dall’estroso enologo Riccardo Cotarella (il creatore del sangiovese “Avi” di San Patrignano).
Alla vostra !!!
Inutile dirvi che il re della serata è stato il celebre Opus One (degustato il millesimo 2007), il vino di Robert Moldavi ottenuto da una cuveé dei 5 vitigni bordolesi, ovvero cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, petit verdot e malbec. Di un bellissimo rubino intenso, al naso esordisce con una punta vegetale di peperone, indice del cabernet, per poi cedere il passo alla finezza del merlot con un continuo incedere di frutti rossi e neri – lampone e fragoline mature, ribes nero, confettura di mirtilli, ciliegie sotto spirito… stile ripieno del “Mon Cheri” !!! - e terminare su un finale di spezie che vanno dal pepe nero ai chiodi di garofano, tabacco e liquirizia. In bocca entra potente, caldo, rotondo, pieno, con una punta di tannini appena accennata ma che subito si scioglie nell’armonia dei profumi che richiamano quelli sentiti al naso. Il legno è dosato veramente bene, tanto che, contro ogni pregiudizio, non c’è traccia delle pesanti tostature a cui i vini americani ci hanno abituato. Che aggiungere, se non che Invernizzi lo ha paragonato ad uno Chateau Margaux (che non avendo mai bevuto, non vi posso dire se sia la verità! Però, notando i rispettivi prezzi, credo ci si possa fidare del buon Guido…).
Avendo cominciato dalla fine, pur negli sforzi e negli intenti di mantenermi breve, devo però segnalarvi anche gli altri vini, soprattutto perché c’è stata la sorpresa delle sorprese…
Il primo vino degustato, Argyle Brut Willamette Valley 2005 (www.argylewinery.com) è un ottimo metodo classico dell’Oregon a base di chardonnay (65%), con un terzo di pinot nero 35%. Veramente intenso ed elegante come profumi, minerale e lunghissimo in bocca… Meglio degli champagne pluripremiati che avevo bevuto qualche sera prima all’evento “Vendemmia in Via Montenapoleone” da Louis Vuitton!!! L’ho cercato su internet la mattina seguente e ho scoperto che ha preso 92 punti da Wine Advocate e 90 punti da Wine Spectator… Ma soprattutto costa solamente 30 US Dollars !!!
Gli altri vini, invece, li ho trovati così così. Uno chardonnay californiano barricato non filtrato (che quindi era un po’ opaco), bello corposo ma a mio avviso con un finale troppo affumicato, “macchiato” dall’abuso di tostatura sul legno, nonostante sia stato da molti definito degno di un “Mersault”. Un pinot nero sempre dell’Oregon (paragonato a un grande Hofstatter), servito fresco a 14/15°C per sacrificarne i profumi a favore della piacevolezza in bocca, ma che ho trovato un po’ deboluccio. Ed infine uno Zinfandel, anch'esso di Napa Valley, che era una “spremuta di prugne mature”, gradevole ma non indimenticabile.
Nel complesso, gli assaggi di OPUS ONE e la sorpresa sul metodo classico hanno ben valso la serata, il tutto corredato da ottima musica jazz che ha creato la giusta atmosfera.
Ed in attesa di una bella serata al Blue Note, che inseguo da quando sono arrivato qui a Milano un anno fa, ne approfitto già per farvi il comin’up della prossima recensione sul sorprendente barbera del Castello di Cigognola (PV), tenuta della Famiglia Moratti gestita dall’estroso enologo Riccardo Cotarella (il creatore del sangiovese “Avi” di San Patrignano).
Alla vostra !!!
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