Anno 1662.
Trentacinque anni prima che nella Champagne l’abate Dom Pierre Pérignon “inventi” il cosiddetto metodo champenoise (1697), in Inghilterra Christopher Merret nella sua opera Some Observations concerning the Ordering of Wines descrive un sistema per provocare deliberatamente la rifermentazione dei vini in bottiglia. Negli stessi anni la sua scoperta viene opportunamente completata, sempre in Inghilterra, con l’invenzione e lo sfruttamento commerciale da parte di Kenelm Digby e Robert Mansell di un nuovo tipo di recipienti di vetro, in grado di sopportare la pressione di 6 atmosfere e oltre sviluppata durante la presa di spuma. Il metodo classico è servito.
Anno 2013.
Trecentocinquantuno anni dopo l’invenzione di Merret, Nicola Bonera presenta per l’AIS Milano una serata di degustazione di vini spumanti inglesi.
Finalmente.
Io l’avevo detto anni fa di prestare attenzione ai vini spumanti inglesi, quando ancora avvicinare le parole “vino” e “Inghilterra” poteva provocare solo l’ilarità generale.
Anche se per essere onesti bisogna dire che in questi ultimi 351 anni la produzione di vino in Inghilterra ha avuto un andamento quanto meno discontinuo. La situazione ha cominciato a stabilizzarsi da una ventina d’anni, cioè da quando il clima è diventato meno avverso e alcune aziende inglesi, tra le quali Nyetimber è stata una dei propulsori, hanno iniziato a credere nelle potenzialità del territorio, avviando una produzione fondata su una felice interpretazione delle caratteristiche proprie del terroir inglese (gesso e belemniti, strati kimmeridgiani) e sull’applicazione rigorosa di regole e metodologie di lavorazione moderne (anche l’Inghilterra dal 2004 ha una legge che disciplina la produzione di “quality wines”). Con i prodotti ottenuti sono poi andate a confrontarsi senza alcun timore con le migliori bollicine del mondo, a partire proprio da quelle francesi. I risultati della sfida non si sono fatti attendere, già negli anni ‘90 gli spumanti d’Oltre Manica hanno cominciato a fare incetta di premi nei concorsi internazionali, suscitando un interesse crescente, che alla fine è arrivato anche in Italia.
Apro una parentesi. Sì, in Italia l’interesse è arrivato con un certo ritardo. Il nostro Paese soffre a mio parere di provincialismo enologico. In Italia si beve quasi solo vino italiano, o in alternativa costosissimi top wines francesi. Non ho evidenze statistiche da presentare qui, ricordo però molto bene le serate di degustazioni e chiacchiere al Comptoir de France di Milano, prima che chiudesse, quando con amarezza si constatava che trovare interesse per una bottiglia prodotta fuori dal solito triangolo Borgogna-Bordeaux-Champagne era praticamente impossibile. E la controprova l’abbiamo avuta alla serata AIS, con la sala Sforzesca del Westin vuota per un terzo invece di essere stracolma come al solito. Questo provincialismo da un lato è forse quello che ci salva dall’essere invasi da vini di prezzo basso e qualità mediocre, come sono certe produzioni australiane o argentino-cilene che hanno occupato ampi spazi di mercato nei Paesi del nord Europa, dall’altro purtroppo rende più difficile la diffusione di vini inusuali, ma di grande spessore qualitativo, quali sono appunto gli spumanti inglesi.
Chiusa la parentesi, riparto da un grazie all’AIS Milano, che ci ha offerto l’opportunità di provare un’esperienza insolita. Anche se avrebbe potuto sfruttare meglio questa occasione: perché, a parte un assaggio del brut di Carr-Taylor, solo Nyetimber in degustazione? (in coda trovate l’elenco dei vini). Perché non provare una serata stile “Europa nel bicchiere”? Come le altre della stessa serie condotte proprio da Nicola Bonera.
Il titolo “spumanti inglesi” illudeva di poter trovare vini di aziende diverse, provenienti da diverse regioni. Ce ne sono. Se Nyetimber rappresenta il West Sussex, abbiamo ad esempio Denbies nel Surrey, Ridgeways nel Sussex, Hush Heath (quella del Balfour) e Gusbourne nel Kent, Camel Valley in Cornovaglia, per arrivare fino al Galles con Ancre Hill… Aziende interessanti e vini ottimi, che avrebbero potuto offrire un quadro più completo di una produzione che si aggira mediamente sui 2-3 milioni di bottiglie/anno ricavate da circa 1.400 ettari coltivati a vigneto (le bottiglie sono state 4 mln nell’anno record 2010, la variabilità significativa è da imputare tuttora all’incertezza dell’andamento climatico, perché è vero che la temperatura è salita ma le piogge continuano a essere un fattore estremamente critico per la maturazione delle uve, anche per quelle da spumante).
Comunque, anche da solo Nyetimber ha potuto raccontare molto di cosa significa spumante inglese oggi.
Innanzitutto è sempre e solo metodo classico. Una scelta strategica opposta a quella del nostro Paese, che sta colonizzando il mondo con il prosecco, re degli charmat. L’Inghilterra al contrario ha dunque puntato tutte le sue fiche sull’alta qualità, una scelta per certi versi obbligata vista la ridotta dimensione della produzione, ma va evidenziato anche il ruolo fondamentale giocato dalla straordinaria cultura britannica del vino. Comunemente considerati bevitori di birra e gin, gli inglesi in realtà sono in un certo senso i creatori di molti tra i vini che hanno fatto la storia dell’enologia mondiale, dal claret di Bordeaux, al Marsala, allo Sherry, al Porto, al Madeira… E sono di gran lunga i maggiori consumatori mondiali di champagne, tolta la Francia. Gli inglesi insomma sanno bene cos’è un buon vino e hanno voluto evidentemente dimostrare di saperlo anche fare.
Non a caso il loro spumante è di impronta decisamente champagnotta, fatto con i tradizionali chardonnay, pinot noir e pinot meunier (poteva onestamente essere risparmiato il tentativo di Carr-Taylor di spumantizzare uve improbabili come reichensteiner e schonburger), sviluppa aromi delicati di fiori e frutti bianchi, integrati nelle annate più vecchie da sentori di pasticceria con qualche nota eterea o addirittura salmastra, è sapido e minerale al punto da sconfinare nel salmastro nei casi più estremi, è sostenuto da una freschezza viva e brillante, con un equilibrio elegante di tutte le sue componenti gusto-olfattive.
E’ tutto oro quello che luccica?
In effetti la domanda inevitabile a questo punto sarebbe “c’era bisogno di un altro vino uguale ad altri che esistono già?”. Gran bei vini, certo, il rosè 2008 addirittura fantastico, che tuttavia non offrono emozioni nuove.
Nicola Bonera, che pure si dichiara entusiasta estimatore degli spumanti d’Oltre Manica, ha una intuizione geniale quando li definisce “vini visagisti”, intendendo sottolineare la loro straordinaria nitidezza formale ma allo stesso tempo mettendone in evidenza la carenza di una propria riconoscibilità specifica, insomma di personalità.
Per vostra fortuna questa volta vi risparmierò la solita filippica sul valore del terroir e sugli autoctoni, riprendo invece il punto di vista descritto da Carlo Petrini di Slowfood in un articolo pubblicato qualche mese fa su la Repubblica. Petrini ha offerto una interpretazione catastrofista dell’esplosione degli spumanti inglesi: se in Gran Bretagna è possibile oggi produrre vino, è perché la temperatura media della Terra sta crescendo. E se questo ci regala nuovi vini di pregio destinati al mercato del lusso, che nascono intorno al 50° parallelo e ancora più su, nello stesso tempo in altre zone del pianeta il surriscaldamento provoca l’espansione delle zone desertiche e la riduzione delle produzioni agricole di sussistenza. Dall’andamento negativo dei raccolti all’intensificazione dei flussi migratori sulla direttrice sud-nord il passo è breve. Gli spumanti inglesi diventano l’altra faccia di una medaglia che ci ricorda della crisi globale economica-socio-demografica che conosciamo bene.
Beviamo…
Nyetimber Blanc de Blanc 2001
Nyetimber Blanc de Blanc 2003
Nyetimber Classic Cuvee 2004
Nyetimber Classic Cuvee 2008
Nyetimber Rosé 2008
Parlando di spumanti inglesi non possiamo non portare la testimonianza (ahimè nessuno ha mai più postato il racconto della serata) della nostra ultima cena di Natale a casa di MG.
RispondiEliminaTema: Francia vs resto del mondo.
Modalità di degustazione: alla cieca
Numero e tipologia di degustatori: 14 – Sommelier, Appassionati esperti, Estimatori non esperti, Donne incinte (per di più Sommelier!).
Vino vincitore: Ridgeview Grosvenor - 2008
Numero di voti ottenuti: 10
Quindi, vittoria schiacciante dell’inglese!
Quanto alla serata di ieri, peccato davvero che non sia stata considerata appettibile da parte dei Soci Ais che di solito gremiscono la sala al Westin. Spero che l’Ais abbia voglia di “osare” ancora e replichi con altre serate simili!
Quanto a Nic (noi lo chiamiamo così) che dire….Di certo la definizione di vino “visagista” fa molta scena (ancora mi ricordo la definizione di profumo lasciato dalle signore a teatro sui tendoni di velluto rosso utilizzata da Nic ad una serata di tempranillo o, ancora, il profumo del velo dell’abito da sposa….) ma che significa? Semmai sono i produttori visagisti, il vino è il divo, il visagista il truccatore o, meglio (che poi la parola “trucco” potrebbe essere mal interpretata) l’abbellitore artificiale…vabbè, poi dite che sono pipipi…in fondo, come si suol dire, la forma è sostanza, no?
Non mi resta molto da aggiungere dopo un post così dettagliato e un commento così puntuale :-).
RispondiEliminaAllora vi dico due cose:
1) spero davvero che l'AIS non si faccia intimorire dall'apparente sala mezza vuota (se la vogliamo vedere positivamente era pur sempre mezza piena!!). Non essere tutti schiacciati e sacrificati fa sembrare le degustazioni più approfondite e personali...
2) a me Nicola piace, piace e piace! E anche le sue definizioni! Soprattutto se faccio il paragone con alcuni altri relatori. Chissà se l'AIS ci legge, potremmo provare a suggerire un ricambio generazionale anche da loro?