Giovedi 7 aprile.
Non c'è nessuno lungo la strada, solo sonnacchiosi convogli che attaccati l'uno all'altro occupano la destra, una lunga fila dormiente che procede come un automa verso la propria destinazione.
Poco basta per raggiungere il deserto spiazzo, che polveroso in attesa delle ostilità, mi da il benvenuto di fronte all'enorme struttura che brulica di piccole presenza che con fretta escono ed entrano dalle porte controllate da soldati di rosso vestiti.
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Alcuni mi guardano, entrano timorosi, probabilmente in soggezione, probabilmente è la divisa da caporale che indosso, con ornamenti e medaglie, probabilmente è per quel poco di rispetto per ciò che questo evento vorrebbe rappresentare.
Ma basta poco, il santo liquido sgorga dalle bocche dei fucili di vetro, a volte così brillante da riflettere la luce cangiante dei finti soli, a volte così pece da ingoiare la trasparenza dei calici.
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è sera, conto i caduti alle mie spalle, i fanti passerina e pocorino sono i più numerosi, alcuni ancora agonizzanti pregano di non essere dimenticati, alcuni sergenti e capitani, sangiovese e montepulciano fieri nella fine, ringraziano.
Venerdi 8 aprile.
L'alba del giorno dopo presenta a noi, che siamo in prima fila, battaglie che dovranno essere vinte.
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Sono appuntamenti che potranno cambiare le sorti della guerra, le sorti di questa piccola compagnia che ha ambizioni di colonizzare il mondo intero e dovrà lottare duramente con Inglesi, Maltesi, Belgi, dovrà vincere e piazzare le proprie pedine in grande quantità, ovunque queste saranno apprezzate.
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Gli inglesi sono duri da vincere, non hanno cultura, sono barbari, i tappi di alcuni fucili vengono criticati, hanno il classico difetto, ma non possono averlo, noi lo sappiamo sono di materiale inerte, ma insistono, insistono, vogliono vincere la battaglia.
Sconsolati perdiamo la posizione e a testa bassa torniamo nelle trince.
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le rimanenti battaglie della giornata vengono vinte e guadagniamo posizioni, ma il caporale in perfetta divisa comincia ad accusare la fatica, i troppi soli, lo sgolarsi per dare coraggio ai propri soldati, il rincuorare le truppe.
Sabato 9 aprile.
Siamo preparati, un dispaccio ci ha comunicato l'imminente invasione di un popolo primitivo che in grande quantità si sta dirigendo con scopi bellicosi contro di noi.
Non abbiamo paura.
I fucili sono carichi, freddi e caldi al contempo, sono solo dei primitivi, li sconfiggeremo.
In questa giornata il caporale sta a guardare, affonda qualche colpo, ma i primitivi non hanno futuro, cedono uno dopo l'altro, si accasciano, scappano urlando.
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Domenica 10 aprile.
La vittoria è quasi nostra, i nostri fanti, sergenti, capitani sono caduti e hanno combattuto valorosamente, si sono distinti, hanno guadagnato posizioni importanti e si sono fatti riconoscere in tutta la loro importanza.
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Le mie ferite continuano a sanguinare, mi fermo per prendere fiato, ma vicina è la vittoria.
Lunedi 10 aprile.
Il sole dorme, ancora quando svegliamo le truppe, è il giorno di alzare la nostra bandiera, il nostro vessillo e smontare il campo accogliendo le riverenze dei nostri superiori, che alla spicciolata vengono a portare i propri omaggi e a congratularsi per la vittoria e della fine delle ostilità.
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il campo smontato.
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Finalmente posso recarmi in infermeria, spero non sia troppo tardi.
...lo sapevo che Manlio ci avrebbe dato grosse soddisfazioni.
RispondiEliminaPeccato che non siamo riusciti a passare a salutarti, io in particolare sono caduta proprio per colpo inferto da pecorino...
E vabbeh, il prossimo anno, partirò dal "tuo" padiglione, per non perdermi l'occasione di vederti all'opera...
Eh si, cara Betty, non vi siete degnate...
RispondiEliminaSolo il Bombe e Vale sono passati per asciugarmi le ferite.
Anche il nostro Delegato e Il nostro onnisciente Cesanese del Piglio, sono giunti da me e hanno potuto apprezzare un pecorino non banale.