domenica 30 ottobre 2011

“JAZZ & WINE”: con l’OPUS ONE alla scoperta del Nuovo Mondo (in salsa francese)

Se il 27 ottobre non eravate alla serata “Jazz & Wine” organizzata dall’ AIS Milano al Westin Palace Hotel, a mio avviso vi siete davvero persi qualcosa… Vini a parte, la musica jazz suonata dal maestro Sandro Cerino è stata davvero ad altissimi livelli.
Il Relatore della serata è stato il mitico Guido Invernizzi, che ha incentrato tutta la serata sulla sfida USA – FRANCIA e sottolineato come negli ultimi 5/6 anni, finita l’epoca dei vini “parkerizzati”, moltissimi proprietari americani hanno ingaggiato fior di enologi francesi di Borgogna e Bordeaux, ottenendo di fatto vini molto competitivi come qualità a prezzi del 30% inferiori. Tanto che alcuni produttori francesi emergenti, visti i prezzi impossibili dei terreni in patria, hanno cominciato ad investire non solo a Napa Valley (California), ma anche nell’Oregon e nello stato di Washington, ritenute ormai le nuove frontiere enologiche del Nord America.
Inutile dirvi che il re della serata è stato il celebre Opus One (degustato il millesimo 2007), il vino di Robert Moldavi ottenuto da una cuveé dei 5 vitigni bordolesi, ovvero cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, petit verdot e malbec. Di un bellissimo rubino intenso, al naso esordisce con una punta vegetale di peperone, indice del cabernet, per poi cedere il passo alla finezza del merlot con un continuo incedere di frutti rossi e neri – lampone e fragoline mature, ribes nero, confettura di mirtilli, ciliegie sotto spirito… stile ripieno del “Mon Cheri” !!! - e terminare su un finale di spezie che vanno dal pepe nero ai chiodi di garofano, tabacco e liquirizia. In bocca entra potente, caldo, rotondo, pieno, con una punta di tannini appena accennata ma che subito si scioglie nell’armonia dei profumi che richiamano quelli sentiti al naso. Il legno è dosato veramente bene, tanto che, contro ogni pregiudizio, non c’è traccia delle pesanti tostature a cui i vini americani ci hanno abituato. Che aggiungere, se non che Invernizzi lo ha paragonato ad uno Chateau Margaux (che non avendo mai bevuto, non vi posso dire se sia la verità! Però, notando i rispettivi prezzi, credo ci si possa fidare del buon Guido…).

Avendo cominciato dalla fine, pur negli sforzi e negli intenti di mantenermi breve, devo però segnalarvi anche gli altri vini, soprattutto perché c’è stata la sorpresa delle sorprese…
Il primo vino degustato, Argyle Brut Willamette Valley 2005 (www.argylewinery.com) è un ottimo metodo classico dell’Oregon a base di chardonnay (65%), con un terzo di pinot nero 35%. Veramente intenso ed elegante come profumi, minerale e lunghissimo in bocca… Meglio degli champagne pluripremiati che avevo bevuto qualche sera prima all’evento “Vendemmia in Via Montenapoleone” da Louis Vuitton!!! L’ho cercato su internet la mattina seguente e ho scoperto che ha preso 92 punti da Wine Advocate e 90 punti da Wine Spectator… Ma soprattutto costa solamente 30 US Dollars !!!

Gli altri vini, invece, li ho trovati così così. Uno chardonnay californiano barricato non filtrato (che quindi era un po’ opaco), bello corposo ma a mio avviso con un finale troppo affumicato, “macchiato” dall’abuso di tostatura sul legno, nonostante sia stato da molti definito degno di un “Mersault”. Un pinot nero sempre dell’Oregon (paragonato a un grande Hofstatter), servito fresco a 14/15°C per sacrificarne i profumi a favore della piacevolezza in bocca, ma che ho trovato un po’ deboluccio. Ed infine uno Zinfandel, anch'esso di Napa Valley, che era una “spremuta di prugne mature”, gradevole ma non indimenticabile.

Nel complesso, gli assaggi di OPUS ONE e la sorpresa sul metodo classico hanno ben valso la serata, il tutto corredato da ottima musica jazz che ha creato la giusta atmosfera.
Ed in attesa di una bella serata al Blue Note, che inseguo da quando sono arrivato qui a Milano un anno fa, ne approfitto già per farvi il comin’up della prossima recensione sul sorprendente barbera del Castello di Cigognola (PV), tenuta della Famiglia Moratti gestita dall’estroso enologo Riccardo Cotarella (il creatore del sangiovese “Avi” di San Patrignano).

Alla vostra !!!

sabato 15 ottobre 2011

“QUATAR PASS PAR TIMURASS”: viaggio tra i presidi Slow Food e i territori della DOC Colli Tortonesi…

Dopo una settimana di pioggia e cielo grigio, il meteo premia la nostra scelta di alzarci all’alba di una domenica mattina per sperimentare un vitigno autoctono piemontese di cui ho sentito solo recentemente parlare: il timorasso.
Si tratta di un bianco strutturato, di colore giallo paglierino, che si carica di sfumature dorate man mano che invecchia… Sì, perché questo, a detta di molti, è “un rosso travestito da bianco”, da bere anche dopo 8-10 anni e forse anche oltre…
Beh, se sono riuscito ad incuriosirvi almeno un po’, il credito per leggervi una paginetta dovete darmelo (anche tu, Betty, coraggio…) !!!
Recuperati bicchieri e mappe al campo base - il municipio di Tortona (AL) – ricevo dai miei compagni la preziosa investitura di “navigatore ufficiale” ed impostiamo il viaggio orientandoci verso le cantine della Val Curone, delle quali avevamo letto feedback assolutamente positivi.
Il primo bersaglio è la Cascina Montagnola, isolata sui colli che sovrastano il paesino di Viguzzolo, dove Donatella, “stracittadina” milanese che ha mollato lavoro e carriera per rilevare un vecchio casale abbandonato insieme con il marito Bruno, ci accoglie in una sfarzosa corte colonica, traboccante di piante e fiori, mentre sta ancora apparecchiando il tavolo di benvenuto (del resto, sono circa le 10.30 e siamo davvero i primi!!!).Veniamo quindi accompagnati in un affascinante tour della cantina, di recente ristrutturazione e con una parte ancora alle prese con gli ultimi ritocchi, durante il quale veniamo omaggiati di un sacchetto di farina di mais – rigorosamente prodotta in loco e macinata a mano dai produttori stessi – per poi tornare nel patio dove ci aspetta ogni sfiziosità, preparata con i prodotti dell’orto: dalle olive ai peperoncini sott’olio, dalle composte di cipolla e verdure al paté di fegato di coniglio… E poi, finalmente, ecco entrare trionfante una glacette ove giace il Morasso 2008, vino di punta dell’azienda: timorasso in purezza, che alla vista invita all’assaggio con quel suo giallo paglierino vivace… Ma è al naso che mantiene tutte le promesse “covate” in questi minuti di attesa: un intenso profumo agrumato, cedro soprattutto, che pian piano cede il passo alla pungenza minerale della pietra focaia, fino a suggerire note di idrocarburi che (vagamente) ricordano un riesling… In bocca è di una freschezza invitante, confermando tutta la sapidità che ci si aspettava ma lasciando un piacevole finale agrumato, a chiudere perfettamente il cerchio delle sensazioni gusto-olfattive.
Fatto il nostro dovere con il vino, è dal cibo che arriva un’altra delle sorprese della giornata: il montèbore, un formaggio tipico della zona che rientra nel presidio Slow Food, composto al 70% da latte vaccino e al 30% da latte di pecora, che gli conferisce sapidità ed un particolare spessore in bocca… Qualità tali da sposarsi perfettamente con il nostro timorasso! Sazi e soddisfatti, a malincuore, essendo ormai mezzogiorno, dobbiamo congedarci da Donatella e Bruno, ma non senza prima aver fatto una buona di scorta di bottiglie e ricevendo un invito a ritornare presto…

E via verso la seconda cantina: la Cascina “I Carpini”, situata in fondo al nostro itinerario, dall’altra parte della vallata, nel comune di Pozzol Groppo. Si tratta di una cantina piuttosto recente, improntata a criteri “bio” ed a basso impatto ambientale, dotata di un sistema di recupero e depurazione dell’acqua piovana e delle acque di scolo usate per il lavaggio delle vasche.
Qui, l’obiettivo di Paolo Ghislandi, carismatico proprietario dell’azienda, non è (solo) quello di finire sulle grandi guide enologiche ma piuttosto quello di plasmare i “vini della sua terra”, capaci di stupire i degustatori senza usare “effetti speciali” che non siano del tutto naturali… Ed ecco che la prima sorpresa è “spumeggiante” di nome e di fatto: un timorasso spumantizzato in purezza (unica azienda dei Colli Tortonesi a produrlo) del quale premiamo soprattutto l’originalità…
Ma i veri punti di forza di quest’azienda sono i rossi, dotati di una struttura e di una complessità olfattiva davvero notevoli. I nomi, alquanto evocativi, fanno il verso a sentori tostati, di frutta rossa matura, di spezie e tabacco, fino a note terrose nelle versioni più evolute. Partendo dal vitigno barbera, Paolo ne estrae tre interessanti interpretazioni: il Sette Zolle 2009 barbera in purezza affinato in solo acciaio per esaltarne il frutto, giovane e polposo, in accompagnamento ad antipasti di salumi e formaggi a media stagionatura; il Falò d’ottobre 2008 (Barbera 85%, Freisa di Chieri 10%, Cabernet Sauvignon 5%), adatto ad accompagnare i piatti della tradizione come i primi con sughi speziati e saporiti, bolliti e secondi a base di carni grasse; ed infine il Bruma d’autunno 2007, Barbera Superiore in purezza, affinato in tonneaux di rovere francese per 14 mesi e lasciato riposare in bottiglia per un ulteriore anno prima della commercializzazione, ideale anche da solo oltre che per carni alla griglia e formaggi stagionati.

La terza tappa, almeno sulla carta, è la più importante del nostro viaggio. Siamo nella frazione di Monleale Alto, a casa di colui che ha avuto il merito di riscoprire e rilanciare il timorasso e la stessa zona dei Colli Tortonesi. Lui è Walter Massa – Vigneti Massa è la cantina - e ci riceve nella piazza del paese, in una sorta di “casa del popolo” adibita a sala di degustazione. Entriamo e lui è lì, al centro della scena, che alterna proclami sul vino a citazioni delle canzoni di Vasco dei primi tempi –e un po’ lo ricorda, con il capello lungo, quel filo di barba incolta e il suo gesticolare –. Purtroppo, in questi casi, il personaggio rischia di oscurare il vino ed è forse per questo che il suo timorasso in purezza, lo Sterpi 2008, premiato con 5 grappoli dalla guida DuemilaVini 2011, lascia tutti un po’ delusi… Rispetto agli analoghi vini delle cantine precedenti, qui prevale l’intensa mineralità al naso (questo è sicuramente il più vicino al riesling renano fra tutti i timorasso assaggiati) ed una nota di agrume leggermente amaricante in bocca, che pur non essendo fastidiosa, suggerisce ancora una certa incompletezza, facendo capire che questo vino darà il meglio di sé fra qualche anno (tant’è che ora una bottiglia è stoccata nella mia cantina)…
Ed è con i rossi (fuori programma!) che Massa mi ha stupito, proponendo, insieme ad un squisito salame cotto ed all’ormai onnipresente montèbore, una verticale del suo Monleale, un barbera in purezza barricato, carico di frutti rossi e di spezie, che nelle cinque (!) annate proposte – dal 2007 al 2002, saltando il 2004 – cresce di intensità e spessore confermando tutto il blasone di questo eccentrico produttore.
La giornata prosegue e anche se un po’ di corsa e con un po’ troppo vino rosso in corpo, eccoci transitare per la cantina Terralba dove oltre ad un più che discreto bicchiere di timorasso Derthona 2008 (dall’antico nome medievale di Tortona), ci sono rimaste impresse le “pesche di Volpedo”, condite con il medesimo vino, secondo una particolare ricetta della famiglia Daffonchio, proprietaria dell’azienda, creando una macedonia fresca e gustosissima.

Galeotte furono le pesche e/o gli accumuli di assaggi... Ma pur con le gambe deboli e la bocca intorpidita, eccoci raggiungere il paese di Vho, sede delle ultime due tappe del nostro tour…
Menzione per l’azienda La Colombera, meritevole di proporre numerose varietà di formaggi locali in abbinamento ai propri vini (scolasticamente gradevole il timorasso base Derthona 2008, che si eleva in complessità nella sua versione riserva, denominata Il Montino, sempre 2008), serviti congiuntamente dall’enologo e dal mastro casaro per accontentare anche i più curiosi.
E dulcis in fundo, chiudiamo con un’eccellenza da 5 grappoli AIS, il Pitasso 2008 di Claudio Mariotto. Qui, in un ipotetico riassunto di tutte le sensazioni gusto-olfattive ritroviamo delicate note di fiori bianchi, di erbe aromatiche come basilico e menta, che dopo qualche minuto cedono il passo alla pietra focaia. In bocca è un equilibrato binomio di freschezza e sapidità, che si chiude su un finale di pompelmo rosa piacevolmente amarognolo.

E se siete arrivati in fondo a questa bella “favola” enologica - parafrasando Esopo - immagino vorrete anche la morale…
Facciamo così… Magari alla prossima stagione dei saldi, quando vi metterete in coda sull’autostrada per andare all’outlet di Serravalle, fate una tappa sui Colli Tortonesi… E se ogni tanto vi piace andare controcorrente, compratevi una bella bottiglia di timorasso: almeno per me, da oggi, il Piemonte è anche terra di ottimi bianchi...

Alla vostra !!!