martedì 29 gennaio 2013

Luigi Moio, il pinot noir, la Borgogna e il senso del terroir

Luigi Moio ha passato diversi anni a Digione, per studio e per lavoro, e ci sarebbe rimasto a vivere per sempre, se non fosse stato che in Borgogna piove troppo....

giovedì 24 gennaio 2013

13 giugno e Il Verdi: niente cibo ai bambini

Spero mi perdonerete se uso impropriamente questo blog per dare voce alla mia indignazione. In effetti l'uso non è così improprio nel senso che questo post è legato in realtà al bere e mangiare bene.
Da quando abbiamo imparato a degustare il vino e il cibo, io e Mauro non riusciamo più a pranzare in posti tipo tavole fredde o bar con panini rinsecchiti o cibi preriscaldati. E vorremmo che il gusto per il buon cibo lo imparasse anche Maddalena.
Ci siamo trovati nei giorni scorsi in zona Moscova e due erano secondo noi i ristoranti in cui la qualità del cibo e la cura del servizio (facendosi pagare il giusto o anche di più..) rappresentavano una garanzia. Il 13 giugno e il Verdi.
In entrambi i locali, però, i bimbi piccoli come Maddalena non possono mangiare. Non ci sono i seggioloni a disposizione.
Non consentire ad un bambino di pranzare è un segno di profonda inciviltà (vi immaginate di entrare in un ristorante e trovare il tavolo senza la sedia?).
Ma che società è quella che rifiuta i bambini?

mercoledì 23 gennaio 2013

Se questo è un vino...

Leggo sul un sito (di cui riporto il link più in basso per chi volesse approfondire fin nei dettagli la notizia) che in Australia è stato creato un vino che ha poteri curativi.

Una sperimentazione condotta su topi paralizzati dall'artrite ha dato risultati insperati e "spettacolari" - come dice lo stesso direttore della ricerca.
In sintesi - e forse semplificando un po' - al vino rosso vengono aggiunti degli antiossidanti resi liposolubili anzichè idrosolubili (come invece sono gli antiossidanti normalmente contenuti nel vino che però sono tannici) affinchè vengano facilmente assorbiti nel flusso sanguigno.

Sommistrato questo vino ai topi, cavie della ricerca, questi sono guariti in 14 giorni.

In pratica un vino che ha del miracoloso.
Ma questo...è un vino???


(Fonte della notizia: http://www.conipiediperterra.com/creato-in-australia-un-buon-vino-rosso-curativo-0123.html?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter)

Marisa Cuomo è un fantasma

"La follia del fare vino" in un territorio con il 40% di pendenza, col furore dei venti e del mare che fronteggia le vigne, con l'amore per gli autoctoni (fenile, ripoli, ginestra, aglianico, piedirosso), con poca disponibilità di braccia, con coltivazione e raccolta eseguite interamente a mano da "freeclimber".
Solo dei folli, e una squadra familiare dedita al vino, possono pensare di continuare in un'impresa bloccata nelle quantità di produzione dalle caratteristiche del territorio attorno a Furore.
Tutto questo non lo dice Marisa (Cuomo), ma suo marito Andrea, che, da buon campano, è generoso nelle descrizioni e nei complimenti al pubblico presente.
7 vini, 5 bianchi e 2 rossi.
Fiord'uva non è il "fiore" ma il "fiordo dell'uva", un braccio di mare suggestivo, che si insinua tra gli strapiombi coltivati a ginestra, fenile e ripoli.
Una verticale dal 2011 al 2007 che ci fa capire come "ogni annata è un progetto che inizia a tavola con Moio". Per il momento progetti ben riusciti, anche se il 2007 con il suo accento minerale, etereo, con l'albicocca e la pesca mature, con la sua eleganza ed armonia è il mio preferito. Come dice Invernizzi "quasi da meditazione". Interessante tutta la produzione, anche quella più recente del 2011, nella quale tuttavia  non percepisco tutto il sentore di idrocarburi segnalato da Invernizzi.
I 2 Furore Riserva 2009 e 2008 sono interessanti (meglio il 2008 per i tannini più gentili e la ciliegia che prevale), ma il clou della serata sono i Fiord'uva.
Qualche ombra sulla serata: Invernizzi straripante nella sua erudizione, a volte fine a se stessa, e forse un pò compiacente con gli ospiti, un personaggio fantasma (la Marisa) che abbiamo capito essere il motore della cantina, una persona schiva, che si fa pregare per parlare, ma che sembra essere più influente di quanto non voglia apparire.

lunedì 21 gennaio 2013

Il Moscato d'Asti e gli improbabili abbinamenti

Cosa dicono del moscato nel mondo.....
Da Decanter 2013
Moscato's rapid accession to the drink of chioce for the hip hop crowd propelled this delicate light  sparkler into the spotlight.
Food pairing
Moscato d'Asti is incredibly versatile and, like all sparkling wine, is best served chilled. Though regarded by many as dessert wine, it makes a lovely aperitif, and in the US many enjoy it with pizza.
Classic pairings include cakes, pastries and fresh peaches. It also makes an ideal palate refresher between courses.

sabato 19 gennaio 2013

Tutto inizia dai bimbi

E’ dai bambini che bisogna partire quando si ritiene sia necessario un cambiamento nella vita sociale. E se ci si accorge che si sta perdendo il senso della “terra”, è prima di tutto ai bambini che bisogna insegnarne il significato.

Dal punto di vista enologico il concetto di territorio assume un’accezione piuttosto complessa da far capire a dei bambini di 8 anni. Microclima, condizioni pedoclimatiche, composizione del terreno sono tutti concetti che risultano incomprensibili ai bimbi. Ma se si traducono con le parole Sole (il clima), Cuore (la terra) e Amore (la passione delle persone che lavorano la terra) forse i bambini capiranno che cos’è la loro terra e impareranno ad amarla. E’ questo ambizioso obiettivo l’idea che ha fatto nascere il libro Vitae è Vita, presentato ieri sera all’AIS dal Rotary Valtidone e il cui ricavato andrà a sostegno del Progetto PolioPlus.

Ospite d’onore il Prof. Mario Fregoni, un curriculum da docente universitario e ricercatore lungo un chilometro, che sceglie la platea dell’AIS per lasciare da parte, per una volta, l’approccio accademico e lanciare un grido di dolore sulla direzione ormai irreversibile che sta prendendo la viticoltura mondiale.

E’ rassegnato ma sembra ancora incredulo quando riporta le cifre della produzione mondiale, con un calo sempre più evidente di quella europea e uno sviluppo esponenziale di quella dell’emisfero sud. Ma non è il luogo dove si produce il vino che lo preoccupa ma le logiche con cui lo si produce.
Non più la logica del terroir ma quella della varietà.

Il passato (cita i vari cru che ha scoperto nelle sue ricerche e spazia dai romani ai greci, dall’Egitto, a Israele, passando dalla Georgia, ritornando ai fenici) e il futuro sono nel terroir non nella varietà.
La qualità è una questione di carattere tecnologico, tutti sanno ormai fare qualità, ma è la tipicità l’essenza del vino e il terroir ne è l’anima.

Personale e originale – sebbene (purtroppo) intervallata da spiacevoli battute sessiste - anche la conduzione della degustazione condotta da un ospite della serata. Quattro malvasie di Candia aromatiche e quattro Gutturnio – tutti Colli Piacentini. Le malvasie sono state per me abbastanza incomprensibili. Un vitigno che non amo per nulla. Difficile eliminare l’aspetto soggettivo e valutare il vino. Metti poi che nella terza malvasia che mi è stata servita si sentiva la carbonica…I “Gutturni” sono stati piacevoli, divertenti. Sorprendente l’ultimo, dell’azienda La Stoppa, se si considera l’annata – 2002 – che per un Gutturnio è davvero tanto!

Un po’ scomposta la gestione della serata ma forse l’intenzione era proprio quella di mantenere il carattere amichevole dell’evento lasciando spazio all’improvvisazione.

Nota di colore: erano presenti i produttori piacentini. Alcuni di loro, molto cordiali peraltro, terminata la serata si sono girati verso la platea e sono rimasti sorpresi dalla quantità di “femmine” in sala.
Ne abbiamo ancora da fare di strada….

mercoledì 16 gennaio 2013

Metti una sera con Josko Gravner

Cos’è il vino?
E’ una domanda che apre verso un’infinita gamma di possibili risposte, che spaziano dal tecnicismo merceologico più stretto fino ad espressioni di puro pensiero astratto, per non dire filosofico.

Una di queste possibili risposte è quella che offre Josko Gravner quando parla del suo vino, parlando in realtà di sé stesso, come è capitato ieri sera al Westin Palace in un incontro promosso dall’AIS Milano con l’aiuto di Antonella Ricciardi dell’Enoteca Ronchi.

La sua risposta è: “il vino è il pensiero di chi lo fa, è quella cosa che tocca l’anima e il cuore. Altrimenti è una bibita”. Il passaggio vino-bibita è la parte simpaticamente folkloristica, quasi umoristica, del ragionamento, ma la prima parte dell’affermazione è indubbiamente d’impatto.
A parlare della propria filosofia nel fare il vino sono in tanti, ormai lo fanno tutti i produttori, invece la capacità di stabilire una così chiara e potente equivalenza tra il prodotto e la propria coscienza di sé e della realtà intorno a sé mi è capitato per adesso di sentirla solo da Josko Gravner.

Il vino di Gravner è Josko Gravner, Josko Gravner è il suo vino. L’implicazione di questa premessa è che tutto vale e naturalmente le prime vittime di questa liberazione dagli standard sono le regole che abbiamo faticosamente appreso studiando per diventare sommelier.
Qualsiasi valutazione tecnica perde di significato, non ha più senso commentare il fatto che il Breg o la Ribolla di Gravner siano vini con caratteristiche di evoluzione estremamente spinte, che già i toni di ambra e topazio presenti anche nelle annate più recenti li definiscono a prima vista come bianchi secchi anomali, che l’intensità dei tannini lascia stupefatti non avendo a che fare né con un rosso né con l’uso di barrique per l’affinamento. E via elencando “stranezze”.
Josko è il primo a stare lontano dalle descrizioni standard, o stereotipate, lui dice che il suo vino “è buono”. E “buono” e “non buono” ("cattivo" per Josko non si dice) sono proprio le categorie di giudizio alle quali si deve fare riferimento per parlare di questi vini. O se preferite “mi piace” e “non mi piace”.

Per quanto mi riguarda, l’assaggio mi spinge verso la scelta “non mi piace”. Il mio gusto è orientato verso vini che per semplicità chiamerei più classici, dal colore paglierino, aromi primari o al massimo secondari e gusto tradizionalmente fresco e sapido.
Però… però non posso negare di subire il fascino di Josko-persona, dal racconto della sua vita e del suo percorso alla ricerca del vino autentico, dalla sua capacità di ripercorrere in modo critico le sue stesse scelte, di parlare con serenità e fermezza di quelli che chiama i suoi “errori”, ad esempio la fermentazione in acciaio e l’affinamento in barrique.
Ascoltandolo sembra di vederlo in viaggio durante le sue esplorazioni della Georgia, in luoghi dove ancora la ricerca non si è confusa con l’eno-turismo, nel tentativo mai concluso di scoprire dove tutto ha avuto inizio, trovando le radici del vino inteso come una delle conquiste del cammino dell’umanità.

Non sto esagerando, basta davvero lasciare la mente libera di assecondare il racconto di Josko e queste sono le sensazioni che vengono evocate. Alla fine il “non mi piace” è sostituito da un sentimento nuovo che si chiama “mi interessa, voglio sapere”.

Tutto questo significa anche che il vino di Gravner non è per tutti, serve che ci sia una passione vera, quella che è fatta prima di tutto di curiosità intellettuale verso il nuovo e il diverso. E significa anche che il vino di Gravner non è per tutti i giorni, è piuttosto un’esperienza che forse ha senso che rimanga addirittura unica e non più ripetuta.
Una magia si può riprodurre? Sotto questo punto di vista mi trovo decisamente in disaccordo con il campione del mondo dei sommelier e con altri commentatori della serata, che hanno parlato di un vino di beva facile, di cui svuoteresti un bicchiere dietro l’altro.
Per niente!
E’ un vino che richiede impegno e concentrazione, che ti assorbe energie mentali, che chiede forse più di dare. E’ stata insomma quella che si dice una “esperienza”.

La curiosità che mi ha lasciato è stata quella di andare un giorno a vedere sul posto come è fatto il Gravner-mondo, lontano dalla sala congressi di un albergo, dove Gravner è davvero lui, Josko il contadino.

Pillole di Gravner

Ieri sera ascoltando Josko Gravner ho raccolto, tra le tante cose che ha detto, quelle che più assomigliano ad aforismi e che quindi mi sembra che possano riassumere il suo pensiero.

Mi rendo conto che, come spesso succede, estrarre singole frasi rispetto al contesto e al momento in cui sono state pronunciate espone al rischio dell’incomprensibilità o addirittura del ridicolo, ma ho deciso che questa testimonianza ha in sé un valore e ha senso lasciarla. Per chi la leggerà con la voglia di provare comunque a ricavarne un senso.

"Il vino lo faccio per me, quello che c'è di più lo vendo"

"Le tecniche migliori sono sempre le tecniche più vecchie"

"Fare il vino è come avere un figlio, non importa se è maschio o femmina, l'importante è che sia sano"

"Il vino non è tecnologia, è nel pensiero di chi lo fa"

"Non c'è la grande annata e la piccola annata, il vino è come le persone che hanno dentro l'angelo e il diavolo e noi dobbiamo dare valore all'angelo"

"Quando vedo svitare una bottiglia col tappo a vite mi vengono i brividi"

"Il vino è come le persone, c'è chi muore prima e chi muore dopo"

"Fare il vino bene è come scalare una montagna, una montagna dove non vedi mai la cima perché è inarrivabile"

"Più cerchi di fare bene e meno il vino piace"

"Se dovessi seguire il mercato dovrei impiantare prosecco"

"I miei vini sono così cari perché ogni vite dà meno di mezzo kilo di uva"

"Un vino di 11 gradi fatto con l'osmosi inversa fa tanto più male e tanto più ubriaca di un vino di 13 o 14 gradi naturali"

"Le cose importanti non stanno nella larghezza ma nella profondità" (per spiegare perché abbandona il Breg per fare solo ribolla)

"Se il vino non tocca l'anima e il cuore non è vino ma è bibita"

"Il vino entra da un buco grosso e poi esce da un buchino piccolo, non è importante l’effetto che fa quando si carica ma quando si scarica"

"Quando un vino è buono non serve l'abbinamento puoi fare quello che vuoi"

"La macerazione è come l'amplificazione per la musica: per amplificare deve essere grande musica".