martedì 31 maggio 2011

Prossimi eventi AIS Milano

Cari blogger, buona parte di noi si è iscritto all'evento del 9 giugno (autoctoni delle Marche) e del 20 giugno (serata Piemonte) con il solito eccezionale relatore: Guido Invernizzi.
Ci si vede lì e a seguire post come piovesse sui due eventi!

B.

lunedì 30 maggio 2011

Matrimonio & Alta Finanza

Leggo su Dagospia la notizia del matrimonio di Corrado Passera (Intesa San Paolo) e Giovanna Salza (comunicatrice) e come al solito Dago sa che cose che noi umani...!

Tra queste il menù e i vini scelti per il banchetto.
Eccoli qui sotto, che mi dite della loro scelta? Io (ovviamente) non ne ho mai provato nemmeno uno...

Arneis Blange Ceretto 2010, un Chianti Nipozzano Marchesi de Frescobaldi 2007 e un Moscato d'Asti 'La Spinetta'

B.

mercoledì 25 maggio 2011

Vino, patate e mele rosse

Nel mio peregrinare in cerca di letture che mi aiutino a farmi una cultura sul vino, a volte inciampo in cose un po' più frivole che poi, inaspettatamente, fanno crescere ancora di più la voglia di conoscere questo mondo magico.

Qualche tempo fa cercavo su Google Libri alla voce "vino" qualche lettura che mi ispirasse e mi ha incuriosito il titolo "Vino, patate e mele rosse".
L'ho comprato senza saperne nulla...solo per il titolo...e devo confessare un po' di delusione quando ho visto che l'edizione era economica, che sembrava un romanzo da leggere sotto l'ombrellone e che l'autrice era Joanne Harris, la stessa di "Chocolat" (famoso romanzo da cui è stato tratto il più famoso film).

Ed in effetti, dopo essere arrivata all'ultima pagina e all'ultima riga del bestseller (si, perchè anche questo ha venduto milioni di copie ed è stato tradotto in molte lingue) vi confermo che il libro è da leggersi sotto l'ombrellone, ma...

Ma c'è la magia del mondo del vino (francese nel nostro caso) e soprattutto della campagna e del mistero che c'è dentro la bottiglia.
Si narra di cose inverosimili, di vino fatto con patate magiche, di amori e intrighi, ma si fa leggere così bene, che se quest'estate - sotto l'ombrellone - volete una scusa per continuare a coltivare la passione anche sotto il sol leone, io ve lo consiglio!

E poi nella vostra libreria, nella sezione del vino, non possono mica solo esserci quei libri grossi, pesanti, con copertine cartonate che ci dà l'AIS!?!?!?!!?

Terroirvino

Ciao blogger,
Il 13 giugno si terra' la manifestazione Terroir vino a Genova.
Vi giro questo link che magari vi interessa: http://www.terroirvino.it/espositori.htm
Qualcuno di voi partecipera'?
Baci
Silvia

giovedì 19 maggio 2011

Stufe per Vigneti


Bene, una richiesta d'aiuto: avrei bisogno di trovare una o più foto di quelle grandi stufe che venivano messe tra i filari dei vigneti francesi, chablis, champagne per scongiurare durante le notti serene le gelate primaverili ed evitare che le gemme fossero bruciate dal freddo.
Spero in un vostro risultato.
grazie

Aggiornamento, le ho trovate ... bastava cercare la parola francese: chaufferettes



martedì 17 maggio 2011



Ho appena letto un articolo sul Corriere.it

http://www.corriere.it/esteri/11_maggio_17/pinot-grigio-gb_058afda8-8076-11e0-845d-a4559d849f1e.shtml

che parla del crescente successo del vino italiano in Gran Bretagna, dove in particolare tra i nostri prodotti sembra riscuotere grandissimo apprezzamento... il pinot grigio.
Esatto, il pinot grigio.
E, cito "Una marca su tutte sembra aver fatto il boom: si tratta della Ogio che, stando ad un’indagine della catena di supermercati Tesco, solo nel 2010 ha venduto un milione e mezzo di bottiglie".
Confesso di non avere mai sentito parlare di questo produttore, dal loro sito mi sembra di poter dedurre che si possa trattare di un'azienda veneto-tosco-pugliese o qualcosa del genere.
Qualcuno ne sa di più?
Certo che se l'Italia deve essere famosa (?) per il pinot grigio, oltre che per il prosecco naturalmente (ne parla lo stesso articolo), significa che dobbiamo fare ancora parecchia strada.
Si potrà forse dire che è difficile prendere il gusto inglese come paradigma, ma è comunque un mercato che conta.
Mah.

lunedì 16 maggio 2011

Novità in Oltrepo

Claudio Giorgi ha lasciato Frecciarossa.
Qualcuno sa dove è andato?

IGT Sicilia Primaterra Nerello Mascalese 2006



Ci sono posti che non dimentichi, luoghi unici a se stessi che tracciano nella mente fotografie indimenticabili.
è da uno di questi posti che arriva questa bottiglia, dal suolo di origine lavica, sabbioso con un ricco scheletro, dove il diavolo ha la sua dimora e dove ieri, sui pedali un combattente ha staccato tutti, lasciandoli respirare solo il fumo del proprio ricordo.

L'etna dona ai suoi vini caratteristiche uniche e inimitabili, finezza e complessità che alcuni paragonano ai grandi di borgogna.
L'etna grazie alle sue vecchie vigne coltivate per la maggior parte ad alberello anche fino ai 1000m di altitudine regala vini che hanno carattere e che ad oggi hanno un grande futuro innanzi a loro.

Primaterra si trova all'interno del Parco dell'Etna sul versante nord, in Contrada Sciaranova a 850 mt s.l.m e la degustazione del loro Nerello Mascalese al 90% (il restante cappuccio) presenta non poche sorprese.
Prodotto con una macerazione prefermentativa e una seguente fermentazione della durata di 7 giorni a 26° segue il suo affinamento per 8 mesi sulle fecce in rovere francese, acciaio per 6 mesi, e 3 in bottiglia.

Dal colore granato limpido e con unghia aranciata presenta una notevole consistenza.
Al naso è intenso, abbastanza complesso dotato di una buona finezza con sentori puliti di mora, prugna, rosa e da ricordi di cioccolato e liquirizia dolce per finire con sfumature ferrose/ematiche.
In bocca e secco, caldo e abbastanza morbido, dalla sapidità non marcata e da un tannino davvero potente ma nobile.
Di corpo, intenso e abb equilibrato rimane a lungo con un finale che ricorda il caffè in un primo momento per trasformarsi in breve in amaro rabarbaro.

é un vino abbastanza armonico, pronto/maturo poichè nonostante abbia un tannino ben marcato di nobile impatto, la freschezza gustativa non mi fa presupporre un ulteriore lungo affinamento.

PICCOLO PARTICOLARE 15vol%....



M




aggiungo qui velocemente il disciplinare dell'etna doc...

appena ho un attimo lo leggo per benino, magari alla fine è solo una scelta all'anselmi.


Disciplinare di produzione per i vini “Etna” bianco, rosso o rosato
Art. 1.-
La denominazione di origine controllata «Etna» bianco, rosso o rosato è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione.
Art.2. -
Il vino «Etna» bianco deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai seguenti vitigni nella proporzione appresso indicata:
Carricante minimo 60%;
Catarrato bianco comune o lucido fino al 40%.
Possono concorrere alla produzione di detto vino, nella misura massima del 15% del totale, anche uve provenienti dai vitigni Trebbiano, Minnella bianca ed altri vitigni ad uva bianca a sapore non aromatico.
Il vino «Etna» rosso o rosato, deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai seguenti vitigni nella proporzione appresso indicata:
Nerello Mascalese con non meno dell’ 80%;
Nerello Mantellato (Nerello Cappuccio) fino al 20%;
Possono concorrere alla produzione di detto vino, nella misura massima del 10% del totale, anche uve provenienti da altri vitigni ad uva bianca con esclusione di quelli con uve a sapore aromatico.
Art. 3. -
Le uve devono essere prodotte nella zona di produzione appresso indicata, che è così delimitata:
da Casale Brancato a quota 1000 in contrada Somatorie, che rappresenta l’estremo limite nord-ovest, il confine scende lungo il torrente Torretta verso sud-ovest, fino alla confluenza del torrente Torretta con il vallone di Licodia, in contrada Poggio dell’Aquila. Da questo punto, il confine è rappresentato dalla quota 600, che attraversa le contrade Scannacavoli, Mancusa, Pia no Vite, Poggio Ventimiglia, Difesa, Pinnina di Lupo, Guardia Ascino, Timpazza, giunge all’abitato di Borrello e, attraverso le contrade Palatella, Mompilieri, Gonnella, Serriccjola, giunge allo abitato di Pedara e, lungo la provinciale Pedara-Trecastagni.Via­grande, raggiunge l’abitato di Viagrande. Da questo centro abi tato in poi il confine est della zona viene rappresentato dalla curva di livello di metri 400 che attraversa le contrade: Sciarelle Lavinaro, Pennisi, Pisarìello, Passo Pomo, Favazza, Perazzo, e giunge ad ovest dell’abitato di Piedimonte, e quindi, raggiunto il torrente Ciappanotto, segue il suo corso fino all’abtato di Lin guaglossa, a quota 520. Da questo centro abitato, il confine nord-est viene rappresentato dal letto del valloùe Ciapparotta, all’in crocio della strada ferrata della Circumetnea a quota 550. Da questo punto il confine raggiunge il limite nord-est della -colata lavica del 1923 e oltrepassa la strada Linguaglossa-Castiglione a quota 624; da qui, lungo la carrabile fra le contrade Recanati e Pantano, intercetta ancora la strada ferrata Circumetnea e rag giunge il limite nord della colata lavica 1911, a quota 600. Da qui, lungo il letto del vallone Sciambro, raggiunge il fiume Alcantara.
Il confine nord è rappresentato dalla riva destra del fiume Alcantara fino all’abitato del comune di Randazzo. Da questo abitato, il limite della zona è rappresentato da quota 800 che, attraverso le contrade Crocetta, Lupara, Pino, Sciara Nuova, Marchesa, penetra nella colata lavica del 1911 e, attraverso le contrade Sciara Manica e Zacchino Pietre, raggiunge il letto del vallone Salto del Bue. Da questo punto in poi, il limite viene rappreséntato dalla curva di livello 900 che, attraverso le contrade Ciapparo, Cannizzaro, Nocille, Giuliana, Felce Rossa, Algerazzi, oltrepassa il vallone San Giacomo, quindi, attraverso la lava del 1792 raggiunge contrada Piricoco a nord di monte luce, all’estre mo sud-est della predetta colata lavica. Da questo punto in poi il confine è rappresentato dalla curva di livello 1000 che. attraverso le contrade Cicirello, Monte Po. Pila, Serruggeri, Ca mercia, Dagala dell’Ascino, Eredità-Mollecchino, Perciata e Cava ]iere, raggiunge Casale Brancato.
I Comuni etnei interessati alla produzizione del vino “Etna», nei tipi bianco, rosso e rosato sono: Biancavilla, S. Maria di Licodia, Paternò, Belpasso, Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Via grande, Aci S. Antonio, Acireale, S. Venerina, Giarre, Mascali, Zafferana, Milo, S. Alfio, Piedirnonte, Linguaglossa, Castigliorìe, Randazzo.
Nessuno di questi comuni viene compreso• per intero bella zona a denominazione di origine controllata, essendo il loro territorio sviluppato in aree triangolari con vertice sul cratere centrale, mentre la zona a denominazione di origine controllata interseca queste superfici nella fascia mediana.
Art.4. -
Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini «Etna» bianco, rosso o rosato devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve ed al vino derivato le specifiche caratteristiche. I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino.
È vietata ogni pratica di forzatura.
La resa massima di uva ammessa per la produzione dei vini «Etna» bianco, rosso o rosato, non deve essere superiore a q.li 90 per ettaro di vigneto a coltura specializzata.
Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di vigneto in coltura promiscua deve essere calcolata in rapporto all’ effettiva superficie coperta dalla vite.
A detto limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso un accurata cernita delle uve, purché la produzione non superi del 20% il limite medesimo.
La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%.
Art. 5. -
Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nell’ interno della zona di produzione delimitata nell’ art. 3. Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione, è consentito che tali operazioni siano effettuate nell’ intero territorio dei comuni, anche se soltanto in parte
compresi nella zona delimitata, nonché del territorio dei comuni limitrofi alla zona di produzione delimitata.
Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino «Etna» bianco una gradazione alcolica complessiva minima naturale di gradi 11 ed al vino «Etna» rosso o rosato quella di 12 gradi.
Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche locali, leali e costanti, atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche.
Art. 6. -
Il vino «Etna» bianco, all’ atto della immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: giallo paglierino, talvolta con leggeri riflessi dorati; odore: profumo delicato di Carricante;
sapore: secco, fresco, armonico;
gradazione alcolica complessiva minima: gradi 11,5; acidità totale: da 6 a 7,50 per mille; estratto secco netto: da 18 a 25 per mille; ceneri: da 1,80 a 2,80 per mille.
Il vino «Etna» rosso o rosato, all’ atto dell’ immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: rosso rubino che con l’invecchiamento presenta leggeri riflessi di granato o rosato tendente al rubino;
odore: vinoso con profumo intenso caratteristico; sapore: secco, caldo robusto, pieno, armonico; gradazione alcoolica complessiva minima: gradi 12,50; acidità totale: da 5,50 a 7 per mille;
estratto secco netto: da 20 a 28 per mille; ceneri: da 1,80 a 3,30 per mille.
Art. 7. -
Alla denominazione di origine controllata «Etna» è vietata 1’ aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste nel presente disciplinare ivi compresi gli aggettivi e gli attributi «extra», «fine», «scelto», «selezionato» e similari.
Sulle bottiglie, e altri recipienti contenenti vini «Etna» bianco, rosso o rosato, può figurare I’ indicazione dell’ annata di produzione purché veritiera e documentabile.
È tuttavia consentito 1’ uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno 1’ acquirente.
È consentito, altresì, 1’ uso di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, fattorie, zone o località comprese nella zona delimitata nel precedente art. 3 e dalle quali effettivamente provengono le uve da cui il vino così qualificato è stato ottenuto.
Art. 8. -
Al vino «Etna» bianco, prodotto nella parte del territorio del comune di Milo, compresa nella zona delimitata, è consentita la qualificazione di
Il vino «Etna» bianco superiore, all’ atto della immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: giallo paglierino molto carico con riflessi verdognoli; odore: profumo delicato di frutto;
sapore: secco, lievemente fresco, armonico, morbido;
gradazione alcolica complessiva minima: gradi 12; acidità totale: da 5,50 a 7 per mille; estratto secco netto: da 16 a 22 per mille; ceneri: da 1,80 a 2,90 per mille.
Art.9.-
Chiunque produce, vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo con la
denominazione di origine controllata «Etna» bianco, rosso o rosato, vini che non rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare è punito a norma dell’ art. 28 del D.P.R. 12 luglio 1963, n. 930.





domenica 15 maggio 2011

IPSE DIXIT: sperimentiamo gli autoctoni campani (quasi) introvabili, nel segno dei relatori AIS…

Cosa succede a “spedire” nell’etere un’e-mail invito per una serata di degustazione in un locale milanese? Succede che il tam-tam del passaparola fa girare talmente tanto questa mail che davanti al locale, all’ora prestabilita, si ritrova un gruppo di 6 semi-sconosciuti più o meno “impanicati” a cercare di ricostruire “chi è l’amico di chi” e come ha ricevuto l’invito...
Parafrasando una canzone del Liga (e riadattandola per l’occasione…) mi verrebbe da cantare: << Niente paura, ci pensa il VINO, mi han detto così… >>. Se poi ci mettiamo anche un bel tagliere di salumi e formaggi, beh… Fate vobis !!!
Le idee sul vino da ordinare sono le più svariate, ma almeno su un paio di cose siamo tutti d’accordo: ordinare un bianco e un rosso, rigorosamente “particolari” e fuori da tutto ciò che normalmente si beve… Magari qualche chicca a base di vitigni autoctoni…
Il posto – che merita assolutamente la citazione, quindi… Enoteca Decanter, Via Castelvetro 20, Milano (trasversale di Corso Sempione/zona Domodossola) – ci propone una ricca carta dei vini, con parecchie etichette “di nicchia” del panorama nazionale e qualche tocco di internazionalità (quasi esclusivamente Francia).
Optiamo quindi per il primo vino, citato dal nostro relatore Guido Invernizzi nel corso dell’ultima lezione sulla Campania: Furore Bianco Fiorduva 2006, DOC Costa d’Amalfi, prodotto dall’azienda Marisa Cuomo con 3 vitigni bianchi, 3 rarissimi autoctoni campani: Fenile (30%), Ginestra (30%), Ripoli (40%). Il primo impatto, appena dopo la stappatura, è comunque di grande effetto: un colore giallo dorato intensissimo, senza alcun cenno di cedimento, ed una mineralità – forse favorita dalla temperatura, un po’ troppo bassa, a mio avviso – che punge il naso, promettendo già una certa sapidità in bocca…
E qui mi rendo conto quanto influiscano, in una degustazione “di gruppo”, le opinioni di chi ci sta intorno… Abituato ad essere un po’ il “pulcino” del gruppo in mezzo a tanti “Sommelier/chiocchia”, rimango un po’ basito da questa strana caccia alla descrizione gusto-olfattiva più suggestiva – ma anche più inverosimile – di un bianco (2006 !!!) che è nel bicchiere da 2 minuti… Ed in attesa che il vino si “apra” nella sua giusta dimensione olfattiva, non mi resta che ammirare il tagliere di salumi e formaggi servitoci con maestria da una giovane e tatuatissima (nonché altrettanto ammirevole!!!) sosia di Amy Winehouse.
Per i salumi, segnalo, nell’ordine: bresaola Valtellina DOP, prosciutto cotto alla brace (di cui purtroppo non ricordo i riferimenti…), salame toscano “Finocchiona”, prosciutto crudo San Daniele DOP 24 mesi. Mentre per i formaggi (e qui confesso la mia discreta ignoranza…): una robiola fatta con 3 diversi tipi di latte (vaccino, caprino e ovino), un formaggio molle bresciano con acquavite e segale (vaccino), un Taleggio della bergamasca, un Camembert AOC Normandia (vaccino) ed un meraviglioso Blu Stilton inglese (vaccino erborinato).
Ma torniamo a “finire” il nostro Fiorduva, dove ora arrivano al naso sentori floreali di ginestra e di acacia, di frutti gialli maturi che spaziano dall’albicocca alla pesca gialla all’ananas. In bocca è una conferma dell’ottimo lavoro svolto su questi vitigni a me ignoti: l’entrata è fluida, morbida, ricca... Richiama i sentori di albicocca essicata, di scorze di agrumi candite, di uva bianca appassita. Tutte sensazioni che rimangono impresse a lungo, nella mente e in bocca, con un retrogusto piacevolemente dolce. La struttura, di corpo, è comunque ottimamente bilanciata da una spalla acida ancora piacevolmente viva e da quella sapidità che ci era stata promessa al naso (e che è figlia dei terreni calcarei e dell’esposizione al mare dei terrazzamenti amalfitani dove si trovano i vigneti).
La curiosità mi ha quindi spinto a cercare ulteriori dettagli su questo vino, scoprendo (con un certo gusto, vista la sensazione di uva passa che avevo individuato in bocca) che la vendemmia viene fatta, manualmente, nella terza decade di ottobre, su uve surmature. La vinificazione avviene a freddo, con pressatura soffice degli acini accuratamente selezioanti. Affinamento per 6 mesi in barriques di primo passaggio a cui segue un anno in bottiglia prima della commercializzazione.
In conclusione, lo definirei una piacevole scoperta e ottimo da bere anche così, da solo. Saltando per ovvi motivi l’abbinamento con i nostri salumi, direi che regge abbastanza bene il confronto con tutti i formaggi sopra citati, anche se a mio avviso il top lo raggiunge con il Blu Stilton, dove il sapore deciso della muffa nobile contrasta e sostiene la corposità ed il finale dolce del vino. Parlando invece di abbinamenti con il cibo del territorio (Costiera Amalfitana), ci metterei un bel pesce al forno (una ricciola o un branzino) servita con qualcosa che ne richiami l’agrumato… magari una salsina o un sughetto coi celeberrimi limoni della Costiera!

Proseguendo, ecco un secondo giro della nostra “Amy”, che ci porta nuovamente la carta dei vini, dalla quale esce la mia proposta di passare ad un autoctono sardo, una “Nieddera” di Attilio Contini (eccezionale la sua Vernaccia di Oristano Riserva “Antico Gregori”, perfettamente conservata anche dopo 40 anni, di cui mi hanno versato “un’unghia” al Vinitaly 2010…). Ovviamente non c’è, per cui, “in the name of Invernizzi”, rimaniamo sugli autoctoni campani, optando per il vitigno casertano pallagrello…
Il vino, molto evocativo anche nel nome, è il Castello delle Femmine 2008, IGT Terre del Taburno, prodotto dell’azienda Terre del Principe di Peppe Mancini, con pallagrello nero (50%) e casavecchia (50%). Anche stavolta, i compagni di tavolata me lo massacrano un po’ troppo presto, sto povero vino, che essendo un inedito per i nostri nasi, è automaticamente meritevole di un secondo giudizio in appello…
Si parte – è vero – con un sentore floreale di fiori un po’ aciduli, che non saprei ben definire (e qui mi aiutano un paio di commenti trovati in internet che citano “garofano” e “peonia”), ma poi il vino si riprende cedendo tutte le “giuste” note di piccoli frutti rossi maturi (vista la pungenza, direi soprattutto ribes e fragoline) e virando su uno speziato “boscoso”, che mi ricorda un po’ l’odore delle pigne secche che d’estate si raccolgono da terra nelle passeggiate in montagna (per i “puristi” AIS traduciamolo pure con “bacche di ginepro”, anche se ne perdiamo un po’ lo spessore evocativo…).
In bocca l’assaggio è fresco e abbastanza scorrevole, con una punta finale di tannini che rivendicano il loro posto e che non sono ancora del tutto zittiti dall’affinamento in legno. L’alcolicità (14 gradi) è poco percettibile e lascia comunque ancora un po’ di spazio alle durezze, elemento che – con grande impopolarità da parte della platea – continua a farmi pensare che almeno un altro anno in bottiglia potrebbe ammorbidirlo ed amalgamarlo meglio.
La curiosità è femmina, si sa… E quindi vorrete ringraziare la mia parte femminile che anche stavolta mi ha spinto a cercare qualcosa di più su questo vino! Anche qui le sorprese non mancano: la vendemmia è fatta manualmente verso la metà di ottobre; dopo una macerazione prolungata il vino matura in barriques di secondo passaggio per circa 8 mesi e poi un anno circa in bottiglia.
Ma soprattutto, ho scoperto che, insieme con il proprietario Peppe Mancini, la rivalutazione di questi autoctoni è passata anche da una nostra recente conoscenza, il Prof. Luigi Moio (per chi non lo conoscesse, assaggiate la sua morbidissima falanghina “Via del Campo”, azienda Quintodecimo).
Per gli abbinamenti della serata, questo Castello delle Femmine si è rivelato ottimo per tutti i salumi, mentre per i formaggi l’ho trovato compagno ideale con il Camembert AOC della Normandia. Fuori dal contesto, lo berrei con un bel piatto di tagliatelle al ragù (ottimo suggerimento proveniente dalla mia dirimpettaia…) oppure, per stare su un secondo, un arrosto saporito ma non troppo impegnativo.

Un bell’applauso quindi a “Vinopedia” Invernizzi (come l’ha simpaticamente definito qualcuno dei presenti…): i suoi autoctoni hanno fatto centro ancora una volta… Certo, se un giorno dovesse leggere questo blog (e mi auguro che ciò possa avvenire DOPO il mio esame per diventare Sommelier…), sicuramente direbbe che saremmo dovuti andare direttamente a casa di Marisa Cuomo, a bere il Fiorduva, oppure nel casertano da Peppe a vedere i vitigni di pallagrello…
Se non altro, caro Guido, “a rubare il mestiere a chi traffica di vino” – come dici sempre tu – ci sto provando… Anzi, ci stiamo provando in tanti. L’importante è continuare ad incontrare persone, che come te, riescano a trasmettere la passione infinta che c’è dentro una bottiglia… E che spingano un gruppo di 6 semi-sconosciuti a riunirsi intorno ad un tavolo, per sciogliere timidezze e inibizioni cantando: << Niente paura, ci pensa il VINO, mi han detto così… >>.
Alla vostra !!!

mercoledì 11 maggio 2011

Un "rossista" rapito dai "Superwhites" friulani...

Ricevuta la “dritta” da una compagna di corso, lunedì 9 maggio alle ore 18, raffreddato ed abbastanza malconcio quanto a forma fisica, mi sono presentato alla serata “Superwhites”, organizzata dal presidio Slow Food del Friuli V.G. al Four Season Hotel in Via del Gesù a Milano. Protagonisti indiscussi della serata i vini bianchi del Friuli, ottimamente accompagnati da specialità gastronomiche del territorio come il celebre “Prosciutto di San Daniele”, ma anche un ottimo “Montasio DOP” (varie stagionature) e – con mia grande sorpresa – un salame friulano che da emiliano con qualche piccola esperienza di norcineria non posso che lodare…
Ma veniamo ai vini, perché molti di voi già si staranno spazientendo… Sono ancora al banco di registrazione in attesa del bicchiere che già mi sento “tirare per la giacchetta” dal primo produttore, Collavini, che mi propone, “per cominciare”, una più che discreta Ribolla Gialla Spumante Brut 2007: e devo dire che, accaldato dopo una bella passeggiata in Via Montenapoleone, la minerale freschezza di questo vino, aiutata dalle bollicine, rappresenta un certo sollievo per la mia gola irritata… Nel frattempo, avvistata l’amica che mi ha girato l’invito per la serata, saluto e mi aggancio al suo gruppo dopo aver saputo che la meta è il banco di Conte D’Attimis Maniago, un produttore che ho conosciuto per caso al Vinitaly 2010 e di cui ricordo ancora un potentissimo Tazzelenghe 2005 (che prima o poi vi farò comprare!)… Peccato che quest’ultimo non rientri molto nel concetto di “superwhite”!!! Ed infatti ecco al suo posto un’altra Ribolla Gialla Spumante Brut, che però rovescio quasi subito nella sputacchiera per tradirla con la “sorella”, Ribolla Gialla 2010, stavolta in versione ferma: meglio, ma ancora non si decolla (sarà forse il raffreddore?!?)…
Mi gioco quindi l’asso nella manica passando al banco immediatamente di fronte (rubando nel tragitto un po’ di Montasio DOP con del pane…): parliamo di Jermann, ovvero colui che – da “rossista” puro quale sono, come direbbe Nicola “The Champion” Bonera - mi ha fatto cambiare idea sulla straordinarietà dei bianchi dopo aver bevuto la sua perla, il Vintage Tunina (che qui, ovviamente, non c’è !!!). Provo quindi il Vinnae 2010, che definirei un classico “uvaggio alla Jermann” (soprattutto Friulano e Ribolla Gialla, con una punta di Riesling Renano) ben fatto quanto a sapidità e mineralità (come si sente il Riesling, anche se ammorbidito dagli altri due vitigni !!!), ma che ancora non vale la palma d’oro della serata.
Arrivo quindi da Lis Neris, nome a me noto per averne perso una serata di degustazione sia nella “mia” AIS Ferrara (nel 2010) sia per l’ormai prossima serata (che mi perderò…) organizzata al Westin Palace da AIS Milano: quale migliore occasione per poterlo fnalmente assaggiare? Inizio con il Pinot Grigio 2010, un “base” che mi colpisce, pur nella sua semplicità, per la fragranza dei profumi e per la sua piacevolissima freschezza… Affronto quindi il fratello maggiore – il Gris 2009 – forse con troppe aspettative, dato che mi scontro contro una struttura un po’ troppo imponente, con una punta di ossidazione sia al naso che in bocca…
Ed ecco che al settimo vino della serata, pesco il jolly. Dopo aver “attraccato” (sette vini mangiando quasi nulla cominciano a sentirsi sulle gambe…) al banco dell’azienda La Castellada per qualche grissino ed una Ribolla Gialla 2006 – consigliatami fortemente, ma che si rivelerà un po’ “chiusa” quanto ad espressività – ecco che prima mi “appioppano” un inaspettato Friulano 2006 assolutamente sopra le righe per i fragranti profumi di fiori gialli ed agrumi, che in bocca proseguono virando verso una frutta esotica, tra la pesca e l’ananas… Da provare (e dite che vi mando io) !!!
Dopo una pausa con pane e San Daniele, si riparte con qualche esperimento… Vado da Franco Terpin, che propone prima uno Chardonnay 2006 di un colore quasi rosato (!) e una Ribolla Gialla 2006 ambrata: più che discreti al naso, ma a mio giudizio con troppi “effetti speciali” (oltre ai colori eccentrici, pesante la nota vanigliata che rivela l’abbondante uso di legno). Passo da Skerk, dal quale provo una Vitovska 2009, un vitigno autoctono del Carso mai sentito prima, che mi colpisce abbastanza positivamente per la sua freschezza citrina, e poi una profumatissima Malvasia 2009, che si rivela la seconda sorpresa della serata per la sua intensità e persistenza gusto-olfattiva (anche stavolta c’è un po’ di legno, ma dosato veramente bene…). Prima del rush finale c’è giusto il tempo di passare da Venica & Venica per un eccezionale (al naso, perlomeno…) Ronco delle Mele Sauvignon 2010, il quale rende sicuro onore al suo nome richiamandomi una mela golden che degustando alla cieca avrei probabilmente associato molto di più ad una produzione trentina piuttosto che goriziana, salvo poi scoprire (a casa!) che l’annata 2009 ha comunque preso i 5 Grappoli AIS della Guida Duemila Vini 2011.
Si chiude in bellezza con questo poker d’assi: Marco Felluga, Mongris Pinot Grigio Riserva 2007, di cui cito solo il morbido trionfo naso-bocca di frutta esotica ed i 5 Grappoli AIS; Jermann, Capo Martino 2008, altro uvaggio capolavoro (Friulano, Picolit, Malvasia e Ribolla) definito il “vice” del Vintage Tunina (che rimane però inarrivabile…); Conte d’Attimis, che non potevo congedare con le due ribolle di prima, con il Ronco Broilo 2007 (Pinot Bianco e Chardonnay), morbidissimo, di un dorato lucente, che fa oltre 2 anni di barrique, e con un abbondante goccio di Picolit 2007, che da soli valevano i 15 Euro (peraltro devoluti in beneficienza) dell’ingresso.
Mi fermo quindi a quota 17 vini, non tanto per sfidare le superstizioni quanto perché sono quasi le 20 ed ho poco più di mezzora per raggiungere il Westin Palace ed un’impegnativa lezione (Abruzzo, Molise e… Campania!!!) del mitico Guido Invernizzi: ebbene sì, sono ancora una “matricola” del corso di II livello, per cui spero vorrete perdonarmi qualche “strafalcione”…
So di essermi dilungato ampiamente oltre i titoli di coda ma essendo giunto alla fine del mio tanto agognato primo “pezzo” su questo blog – mi perdonerete questa licenza… – non posso chiudere la mia recensione senza una “captatio benevolentiae” nei confronti della mia “madrina” enologica, colei che mi ha fatto ricredere sulla potenza gustativa bianchi, da me spesso snobbati a favore dei rossi iperstrutturati… la nostra Sommelier, nonché autrice, Vale (che immagino non tarderà a postare un suo commento qui sotto…) !!! Ebbene, a lei devo un grande ringraziamento per avermi fatto apprezzare l’altra “metà enologica” del cielo ma soprattutto per avermi introdotto in questo “spicchio milanese” del grande e magico mondo del vino, in questo gruppo che da un paio di mesi è diventata la mia famiglia adottiva… Grazie davvero, a tutti… Ah, per la cronaca, il raffreddore l’ho dimenticato là, sull’emozionante strada del vino… E poi dicono che il vino fa male… Alla vostra !!!

lunedì 9 maggio 2011

Carjcanti Gulfi 2006



Che bravi che sono, a Chiaramonte Gulfi ci sanno fare.
A natale di quest'anno mi è stata regalata una cassettina di legno con dentro quasi tutta la linea della cantina Gulfi, da vini già avanti negli anni a quelli più giovani.
Ieri ho deciso di aprirne uno di quelli relativamente più giovani, Carjcanti 2006.

Concorre al 95 % di Carricante un 5% di Albanello più tipico del territorio Ragusano che il Carricante vitigno conosciuto cone etneo, ma in questo caso Gulfi, da un terreno vulcanico lo ha impiantato tu terreni calcareo argillosi per evitare di utilizzare vitigni d'importazione.
In Val Canzeria, si trova la Vigna Campo che con una densità di 9000 viti per ettaro da origine grazie ad importanti escursioni termiche (400metri), a uve da una forte caratterizzazione aromatica.
L'affinamento è in parte in acciaio, in parte in barrique da 225 e da 500 che si conclude con un assemblaggio ad hoc.

Dal colore giallo dorato con ancora riflessi paglierino brillanti colpisce al naso per la sua intensità e complessità.
Note minerali e iodate, fruttate di lime e melone che lasciano spazio a erbe aromatiche arricchite dalla dolce speziatura del legno.
in bocca l'attacco è intenso e morbido, equilibrato in modo affascinante dalla sapidità/acidità tipica di questo vitigno che seppur lontano dai suoli lavici che conferiscono finezza e mineralità, riesce a mantenere una personalità ben marcata.

il finale è lungo, e con solo 12,5%vol e nonostante il passaggio in legno a mio gusto e ripeto solo a mio gusto un poco troppo marcato, resta poco nella bottiglia rimanendo solo il ricordo.

86/100

giovedì 5 maggio 2011

Il provincialismo dell'imitazione

E' questa l'espressione che Simone (bravo, bravo, bravissimo come al solito :)!) ha scelto per identificare una corrente, sviluppatasi in Italia negli scorsi decenni, che ha dato ampio spazio ai vitigni internazionali, da cui, fra tutti, i tanto amati-odiati Supertuscan e che se da un lato ha fatto conoscere i vini italiani in tutto il mondo dall'altro ha comportato l'abbandono, in alcuni casi, dei vitigni autoctoni, vera ricchezza dell'enologia italiana.

Quindi, basta Supertuscan, basta merlot, cabernet e spazio e onore a magliocco, terrano, ciliegiolo, pelaverga, tintilia e cannonau.

Così, in sostanza, si è aperta la serata dei Rossi Autoctoni alla Ronchi ieri.

Grande livello, come al solito, e vini molto interessanti.

mercoledì 4 maggio 2011

La sorpresa del Raboso Piave!

L'abbiamo aperto per caso (il vino destinato alla cena è finito tutto nel lavandino...) e forse - ma l'abbiamo capito dopo - un po' sprecato per l'abbinamento non proprio adattissimo, ma il Raboso Piave di Ornella Molon ci ha proprio sorpreso!!

Grazie Betty per questa scoperta!

Ci sai dire qualcosa per caso del tappo? Mai visto prima....

martedì 3 maggio 2011

La prossima degustazione la offro io.

E si bevono i miei vini.


(...scherzetto...)

Alsazia: acidità o non acidità?

Capitata per caso ad una degustazione per soli operatori, supero rapidamente l’imbarazzo e mi butto nella mischia per degustare i vini protagonisti della serata: 13 produttori dell’Alsazia, spaziando dal Cremant alle Vendages Tardives.

Decido di concentrarmi sul riesling credendo – nella totale ignoranza del territorio – di imbattermi negli spiccati toni minerali e di trovare i sentori di idrocarburi tipici, almeno così credevo, del vitigno.

Sento, invece, profumi piacevolmente delicati con sfumature fruttate che tengono bene di fronte alla mineralità che, seppur presente, non è come mi aspettavo.

E in bocca tutto è sovrastato da un’acidità che mi sorprende. Mi spiegano che i vini d’Alsazia sono così ed io, vino dopo vino, cerco di abituarmi.

Trovo un vino leggermente più morbido (termine mai così improprio) – un Riesling Patergarten 2008 – Domaine Paul Blanck – che, diversamente dagli altri, ha fatto un anno di affinamento in tonneau. Almeno credo di aver capito così dal produttore, un omone alto due metri che mi parla in francese pur consapevole che non sto capendo nulla (ahimè) di ciò che mi dice.

Non mi dispiace nemmeno il Riesling Trois Chateaux 2008 (Biodinamico) di Sarl Kuentz-Bas Alsace, stavolta tutto acciaio.

Senza alcuna sequenza logica provo anche un paio di Cremant e due pinot nero, ma nulla degno di nota. Da ricordare invece il Pinot Gris 2001 Grand Cru Rangen Clos Saint Urban di Domaine Zind-Humbrecht.
Piacevolmente freschi e di facile beva due vitigni mai assaggiati prima: Auxerrois e Klevener de Heiligstein.

Alla fine mi fermo al banco di Klein Aux Vieux Remparts per assaggiare l’intera gamma (dal Cremant al Pinot Nero passando, naturalmente, dal Riesling) e qui un signore mi dice finalmente di aver trovato in questa cantina, dopo tutto il giro della sala, l’acidità tipica dei vini alsaziani.
Ma se la spiccata acidità di tutti i vini assaggiati è stato l’argomento di discussione principe con tutti gli interlocutori incontrati stasera?

Termino qui il mio giro con il dubbio di non aver capito totalmente questo territorio. Sono però contenta di aver aggiunto un pezzo in più della mia storia di vino.

Per saperne di più: www.vinialsazia.it

lunedì 2 maggio 2011

Roba da sommelier professionisti...

...e diplomati!
Visto che gli abbinamenti si fanno al terzo livello chiedo il vostro aiuto per valorizzare i vini che mio cognato mi ha regalato per il compleanno.
Con cosa li abbino per comprenderli al meglio?
Ecco qui le bottiglie "incriminate":
  • BROLETTINO Lugana DOC 2009, CA' DEI FRATI (l'azienda consiglia di berlo al 4° o 5° anno dopo la vendammia ma intanto mi prendo avanti...)
  • BUSSOLA Valpolicella Superiore Ripasso DOC 2006, CA' DEL LAITO
  • FRIULANO 2009 DOC, LIVIO FELLUGA
Inoltre, visto che sto studiando i primi libri qualcuno sa dirmi che bottiglia è quella del Brolettino (vedi immagine qui sotto)?

domenica 1 maggio 2011

DEGUSTAZIONE PECORINO

L'ultima visita a Firenze, avvenuta qualche settimana addietro, ha comportato come risultato il portare a casa 6 tipologie di Pecorino Toscano, parliamo di formaggio e non di quel vino, che hanno atteso la sera passata per essere soggette ad una degustazione in famiglia.

Organizzata la serata, invitati gli ospiti e preparato il gioco mi appresto a raccontarvi le regole.



Come potete vedere un piatto cosi composto, dal Pecorino Marzolino, il più chiaro perlato, in senso orario...

- Marzolino, Pecorino con stagionatura rapida e latte "primaverile"
- Seggiano, dalla media stagionatura e con concentrato di pomodoro in crosta
- Alla cera d'Api in crosta, con aggiunta di cagliata di gorgonzola
- Pecorino di Grotta, stagionato in grotte di tufo
- Pecorino Canestrato, con la cagliata messa a mano in forme create da giunchi con stagionatura lenta
- Pecorino di Fossa






e questi sono i vini con qui abbiamo provato ad accompagnare i nostri formaggi ovini

Anselmi, Capitel Croce 2007, da vitigno Garganega



Les Cretes, Cuveè Bois 2006, da vitigno Chardonnay



Testamatta, I Grilli del Testamatta 2007, Sangiovese



Chiaramonte Gulfi, Nerobufaleffi 2000, Nero d'Avola

il vino è stato decantato due ore prima per fondo molto consistente



Ed i giochi ebbero inizio.

Con il vino di Anselmi abbiamo provato in ordine cronologico il pecorino marzolino e quello di seggiano notando che la mineralità e freschezza riuscivano in parte a sopperire alla tendenza grassa del primo pecorino ma in modo inaspettato interagivano in modo più equilibrato con il pecorino di media stagionatura, il seggiano.

Il secondo pecorino, quello di seggiano, ha fatto da ponte per il vino di Les Cretes che ci ha accompagnato anche con il pecorino cagliato con caglio di gorgonzola (cera d'api), il terzo.

Il Cuveè Bois è riuscito in modo molto armonioso ad abbinarsi con il pecorino di seggiano, ma con un finale leggermente amarognolo con il pecorino a cera d'api che è stato la bestia nera della serata.

Introducendo il quarto pecorino, di grotta, si è provato a mantenere il Cuveè Bois e con incredibile stupore il vino accompagnava in modo splendido la stagionatura del pecorino di Grotta senza cedere nel finale.
Un continuo alternarsi di sensazioni dovute prima dal pecorino poi dal vino in un finale lunghissimo.
Il pecorino di Grotta è stato abbinato con il sangiovese di Testamatta e qui, l'abbinamento classico ha sortito i suoi effetti mantenendo una buona armonia per tutta la degustazione.

Il pecorino Canestrato, il quinto, con un'aromaticità spaventosa e con retrogusti davvero incredibili, si è scontrato con il sangiovese uccidendolo in un finale amaro e disarmonico.

11 anni di nero d'avola, Nerobufaleffi, con la loro morbidezza, con i loro tannini vellutati, con i loro profumi terziari ma sorretti da una freschezza invidiabile, a braccetto hanno retto il peso del Canestrato.
In un primo momento il vino sparisce dando spazio al ritorno del pecorino, ma coraggiosamente dopo qualche secondo il siciliano torna con tutta la sua "potenza" ed eleganza.

Ed è arrivato l'ultimo assaggio, un pecorino di fossa che potrebbe uccidere qualunque palato, piccantezza calibrata ma una potenza aromatica e olfattiva da veri esperti o appassionati.
Qualcosa che in pochi possono apprezzare, le facce disgustate non mancano, assaggiarlo in purezza + un suicidio.
L'armonia ha il nome di Fossa e Nero d'Avola, è lui il "decantato" siciliano che ci fa scoprire la qualità di questo formaggio cosi difficile.

é arduo in 10 minuti raccontarvi un gioco cosi complesso e divertente, perchè nel mentre sono stati fatti anche tutti gli incroci possibili alzando bandiera bianca con il pecorino a cera d'api che non ha trovato il suo abbinamento ideale, anche se a livello teorico sappiamo in futuro con cosa provare.

Con noia finale, la vostra, vi saluto.
M