martedì 29 gennaio 2013

Luigi Moio, il pinot noir, la Borgogna e il senso del terroir

Luigi Moio ha passato diversi anni a Digione, per studio e per lavoro, e ci sarebbe rimasto a vivere per sempre, se non fosse stato che in Borgogna piove troppo....

Inizia così, con una specie di c'era una volta, la favola del terroir così come la racconta il professore dell'università Federico II di Napoli, che è anche enologo, viticultore, produttore di vini importanti e divulgatore di cultura enologica.

Il senso del terroir emerge come una scultura da un blocco di marmo, scolpito dalle fulminanti battute, dalle rigorose dissertazioni tecniche e dalle citazioni illuminanti che Mojo regala alla platea, offrendo una limpida visione del significato di questa parola ormai abusata  e del perché usiamo un termine francese per esprimerne il concetto.

"In Borgogna piove troppo" è la prima tessera di un mosaico che descrive clima, morfologia e geologia della regione,  secoli di storia cultura e capacità dell'uomo, per portare infine alla sintesi perfetta: "voi fate pinot noir, noi facciamo Gevrey-Chambertin".

E' questa la risposta che uno dei tanti piccoli produttori borgognoni ha dato a Moio, che spiegava che il pinot noir "si fa anche in Italia".
Come si potrebbe dire meglio di così cos'è il terroir? Il vino non solo prende il nome dal posto dove è stato fatto, ma vi si identifica in modo perfettamente simbiotico, il luogo e il vino non si distinguono più.

E il termine deve essere francese perché fuori dalla Francia, e soprattutto fuori dalla Borgogna, non c'è nessun Paese al mondo dove il concetto di terroir si esprima in modo altrettanto assoluto.
Lasciamo stare il Nuovo Mondo, dove le scelte sono estremisticamente orientate verso il varietale, parliamo proprio dell'Italia, facendo qualche esempio.
È vino di terroir quello di Querciabella? Se parli con loro ti dicono che lo è, però vinificano cabernet e lo chiamano Batàr. Diciamo che è vino di un altro territorio.
È vino di territorio la ribolla di Gravner? Ci avviciniamo molto di più all'idea originale, ma non ci siamo ancora del tutto. Josko chiama il suo vino "ribolla", non potrà arrivare a dire "voi fate ribolla, io faccio Collio". Anche perché il disciplinare del Collio ammette altre 15 uve, senza parlare del prosecco.
E' vino di territorio il Barolo? In effetti nel senso francese sembra esserlo. Quasi. Il nebbiolo diventa Barolo in 11 comuni diversi, l'identificazione del vino con il territorio risulta meno nitida di quella, per dirne uno, del Volnay. Neanche tra 300 anni ci sarà un produttore che dica "io faccio Castiglione Falletto".

Dunque, il racconto del pinot noir di Borgogna nella serata con Moio è stata soprattutto la spiegazione del significato di terroir, andando oltre tutte le definizioni didattiche ascoltate infinite volte nella stessa sala Sforzesca del Westin Palace che ha ospitato l'incontro organizzato dall’AIS Milano. La sorpresa, forse, è che questo significato profondo, spirituale, arrivi da chi immagini che ti possa semmai insegnare lo spettro degli aromi di un vino dal punto di vista di un gascromatografo.

Ovviamente la serata dà piena soddisfazione anche nella parte tecnica, approfondita e precisa proprio come ci si può attendere da Luigi Moio, offrendo ogni possibile descrizione dell'uva pinot noir, osservata attraverso antranilati, cinnammati e furaneolo, parole chimiche che corrispondono ai tipici profumi di cassis, e di lampone fragolina mora e ciliegia, insomma più o meno a tutto l'inventario completo dei piccoli frutti rossi. Sono gli aromi che hanno fatto la fortuna del pinot noir, che insieme a quelli animali altrettanto tipici, soprattutto nelle fasi di maggiore evoluzione ( odore di pellame, sottobosco e cavallo pulito, dice Moio), lo hanno dotato di quella riconoscibilità sensoriale che lo rendono diverso e unico rispetto a tutte le altre uve rosse, pur senza farne un’uva aromatica.

La riconoscibilità dell’uva, l’unicità del territorio, la tenacia della gente di Borgogna nel rimanere fedeli alla propria storia e alle proprie tradizioni, tra queste la famosa barrique, altrove diventata spesso famigerata, oppure l'aggiunta di uva non pigiata alla massa di mosto già in fermentazione, per esaltare i profumi di lampone attraverso l'utilizzo parziale di una tecnica che di fatto è la stessa della macerazione carbonica con cui si producono i vini novelli.

Tutto questo ha fatto del vino di Borgogna la leggenda che è oggi.

Una leggenda che dopo tanto raccontare si è materializzata nei nostri bicchieri.
8 diverse appellation, tutti vini del 2008, tutti fatti, ça va sans dire, con uva pinot noir, tutti di conseguenza perfettamente riconoscibili,  eppure ognuno inconfondibile rispetto a tutti gli altri.

8 vini che hanno coperto tutta la geografia della Cote d’Or, da Fixin nel nord della Cote de Nuits fino a Chassagne Montrachet nel sud della Cote de Beaune, passando da Gevrey-Chambertin, Morey St. Denis, Chambolle Musigny, Pernand Vergelesses, Aloxe-Corton e Volnay. 8 vini bellissimi, perché di un grande vino Moio dice che è “bello”, non che è buono, anche per degli straordinari colori rosato carico.
8 vini che hanno fatto rimpiangere solo che non ci fosse più tempo e più tranquillità per una degustazione che fosse davvero l’ atto creativo che dice Moio.

Il miracolo del terroir, quello vero.

2 commenti:

  1. Bellissimo racconto di una serata di degustazione in compagnia del prof Moio, e mi sono fatto anche io attraverso le tue parole l'idea che il terroir vero è quello che troviamo in Borgogna, sicuramente i nostri amici francesi dalla loro parte hanno la poetica del termine ..terroir.., che in italiano dovremmo tradurre con il meno poetico ..aspetto pedoclimatico... Il Barolo, Barbaresco grandissimi vini espressione massima del re dei vitigni, il nebbiolo che nelle langhe ha trovato il terroir ideale per esprimere tutta la sua grandezza, ma non termina qui la sua missione passando dal vercellese, novarese, con Gattinara e Ghemme, altri terroir e poi la Valtellina. Concludendo, se il vino è anche comunicazione, ovvero il racconto di una storia fatta di lavoro, passione, tradizione e terroir, forse i francesi raccontano meglio. Ciao Marcello, il piemontese napoletano

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  2. benvenuto Marcello. e grazie del contributo, mi auguro che la tua diventi una presenza fissa!

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