mercoledì 16 gennaio 2013

Metti una sera con Josko Gravner

Cos’è il vino?
E’ una domanda che apre verso un’infinita gamma di possibili risposte, che spaziano dal tecnicismo merceologico più stretto fino ad espressioni di puro pensiero astratto, per non dire filosofico.

Una di queste possibili risposte è quella che offre Josko Gravner quando parla del suo vino, parlando in realtà di sé stesso, come è capitato ieri sera al Westin Palace in un incontro promosso dall’AIS Milano con l’aiuto di Antonella Ricciardi dell’Enoteca Ronchi.

La sua risposta è: “il vino è il pensiero di chi lo fa, è quella cosa che tocca l’anima e il cuore. Altrimenti è una bibita”. Il passaggio vino-bibita è la parte simpaticamente folkloristica, quasi umoristica, del ragionamento, ma la prima parte dell’affermazione è indubbiamente d’impatto.
A parlare della propria filosofia nel fare il vino sono in tanti, ormai lo fanno tutti i produttori, invece la capacità di stabilire una così chiara e potente equivalenza tra il prodotto e la propria coscienza di sé e della realtà intorno a sé mi è capitato per adesso di sentirla solo da Josko Gravner.

Il vino di Gravner è Josko Gravner, Josko Gravner è il suo vino. L’implicazione di questa premessa è che tutto vale e naturalmente le prime vittime di questa liberazione dagli standard sono le regole che abbiamo faticosamente appreso studiando per diventare sommelier.
Qualsiasi valutazione tecnica perde di significato, non ha più senso commentare il fatto che il Breg o la Ribolla di Gravner siano vini con caratteristiche di evoluzione estremamente spinte, che già i toni di ambra e topazio presenti anche nelle annate più recenti li definiscono a prima vista come bianchi secchi anomali, che l’intensità dei tannini lascia stupefatti non avendo a che fare né con un rosso né con l’uso di barrique per l’affinamento. E via elencando “stranezze”.
Josko è il primo a stare lontano dalle descrizioni standard, o stereotipate, lui dice che il suo vino “è buono”. E “buono” e “non buono” ("cattivo" per Josko non si dice) sono proprio le categorie di giudizio alle quali si deve fare riferimento per parlare di questi vini. O se preferite “mi piace” e “non mi piace”.

Per quanto mi riguarda, l’assaggio mi spinge verso la scelta “non mi piace”. Il mio gusto è orientato verso vini che per semplicità chiamerei più classici, dal colore paglierino, aromi primari o al massimo secondari e gusto tradizionalmente fresco e sapido.
Però… però non posso negare di subire il fascino di Josko-persona, dal racconto della sua vita e del suo percorso alla ricerca del vino autentico, dalla sua capacità di ripercorrere in modo critico le sue stesse scelte, di parlare con serenità e fermezza di quelli che chiama i suoi “errori”, ad esempio la fermentazione in acciaio e l’affinamento in barrique.
Ascoltandolo sembra di vederlo in viaggio durante le sue esplorazioni della Georgia, in luoghi dove ancora la ricerca non si è confusa con l’eno-turismo, nel tentativo mai concluso di scoprire dove tutto ha avuto inizio, trovando le radici del vino inteso come una delle conquiste del cammino dell’umanità.

Non sto esagerando, basta davvero lasciare la mente libera di assecondare il racconto di Josko e queste sono le sensazioni che vengono evocate. Alla fine il “non mi piace” è sostituito da un sentimento nuovo che si chiama “mi interessa, voglio sapere”.

Tutto questo significa anche che il vino di Gravner non è per tutti, serve che ci sia una passione vera, quella che è fatta prima di tutto di curiosità intellettuale verso il nuovo e il diverso. E significa anche che il vino di Gravner non è per tutti i giorni, è piuttosto un’esperienza che forse ha senso che rimanga addirittura unica e non più ripetuta.
Una magia si può riprodurre? Sotto questo punto di vista mi trovo decisamente in disaccordo con il campione del mondo dei sommelier e con altri commentatori della serata, che hanno parlato di un vino di beva facile, di cui svuoteresti un bicchiere dietro l’altro.
Per niente!
E’ un vino che richiede impegno e concentrazione, che ti assorbe energie mentali, che chiede forse più di dare. E’ stata insomma quella che si dice una “esperienza”.

La curiosità che mi ha lasciato è stata quella di andare un giorno a vedere sul posto come è fatto il Gravner-mondo, lontano dalla sala congressi di un albergo, dove Gravner è davvero lui, Josko il contadino.

10 commenti:

  1. Illuminante critica. E non per l'abilità nel descrivere l'esperienza degustativa, ma perché mi fa capire che siamo spesso affascinati dal personaggio, dall'"autore" del vino, più che dal vino stesso.
    Mi colpisce l'idea che nella valutazione di un vino la tecnica possa avere un ruolo minore.
    E se fosse stata una degustazione alla cieca? Che punteggio avrebbe meritato il vino di Gravner?

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  2. Che emozione che trasmette questo articolo! Ci si fa subito un'idea del personaggio!
    Quanto alla domanda provocatoria di MG io confermo: le mie degustazioni sono condizionatissime dal nome ma in senso contrario. Io, i grandi nomi, tendo a penalizzarli perchè alte sono le mie aspettative!

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  3. Un punteggio ai vini di Gravner? Bella questione! Io non me la sento di esprimerlo, magari Davide vuole dire la sua, l'altra sera c'era anche lui.
    Parlando di queste cose mi è tornato alla mente di quella volta che Carosso disse che le degustazioni alla cieca non hanno senso, perché dell'emozione di bere un vino fanno parte tutte le possibili componenti del vino stesso, compreso il nome di chi l'ha fatto e il prezzo pagato per acquistarlo.
    In effetti non so se potrei sopportare l'emozione di degustare un Petrus... :-)

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  4. Visto che sono stato chiamato in causa, rispondo volentieri...
    Ma prima mi associo ad MG nei complimenti per la tensione emotiva di questa serata - esperienza per me magnifica - che hai saputo rendere così bene nella recensione.
    Concordo sul fatto che non potrei esprimere un punteggio su questi vini, pur sottolineando che a me sono piaciuti. Avevo apprezzato la sua Ribolla anche al primo assaggio, alcune settimane fa, in tempi non sospetti...
    Tuttavia è vero che non sono vini per tutti né vini per tutti i giorni. Lo stesso abbinamento cibo-vino lo troverei abbastanza impegnativo.
    Credo siano la massima espressione del c.d. "vino da meditazione": quel tipo di vini da bere "da soli" (sia dal punto di vista dell'abbinamento che da soli in senso fisico), quando si vuole dedicare un po' di tempo a se stessi... Vini da sorseggiare su una terrazza con una bella vista sul mare, in una notte d'estate...

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  5. La meraviglia, spesso si nasconde dietro la bottiglia, ed è sempre ciò che invece la stessa bottiglia cela a suggerirci di guardare proprio dietro di essa. Il vino, come i cani, assomiglia al padrone, personaggi bizzarri, lungimiranti e intriganti daranno vita a qualcosa che possa trasmettere il loro pensiero del mondo, qualcosa che gli assomigli il più possibile, coscientemente o a volte in modo completamente spontaneo e non meditato.
    Nel calice, davanti a questi personaggi, troviamo vini che vanno ascoltati, difficile parlarne senza trovarsi imbarazzati nel cercare le parole o similitudini, visioni enologiche che spiazzano e che non possono essere etichettate di una beve facile (ma mi facci il piacere C.D.M.) ma che danno il loro meglio quando, a mio parere, abbracciano l'abbinamento perfetto, difficile da trovare, ma come una sposa indissolubile il matrimonio una volta consumato.
    Spiace, e molto non potere essere stato seduto con voi ad ascoltare questi calici, ma grazie di avermi trasmesso le sensazioni.
    Manlio

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  6. Chiaramente l’autore dell’articolo non ha colto il significato di “beva facile” dal momento che si evince in maniera molto netta che egli confonda questa definizione con vino facile, di facile approccio. I vini di Gravner sono tutt’altro che vini facili ma, mettendo in luce grande mineralità e freschezza gustative – e molto molto di più -giustamente mitigate da una suadente morbidezza, invitano, invogliano alla beva. D’altra parte il miglior banco di prova riguardo la “bontà” di un vino è proprio il fatto di non incontrare problemi nel portare a termine la bottiglia. Viva Josko!

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    1. "Anonimo", sei forse tu il Campione del Mondo in persona che interviene per precisare il senso delle tue parole di quella sera?
      O sei un altro estimatore dei vini di Gravner?
      Comunque sia, vorrei rassicurarti che ho scritto esattamente quello che intendevo, cioè, prendendo a prestito le parole del tuo commento, avrei dei problemi a portare a termine una bottiglia di Breg o di Ribolla. Proprio la loro complessità, più ancora che per altri vini, mi impedisce di abbandonare l'abituale moderazione nel consumo, semmai mi richiede più attenzione.
      Qualcuno ha detto che i vini di Gravner sono addirittura da meditazione. Vini che non si consumano a litri.

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  7. Solo un estimatore dei vini di Gravner, per i quali tu forse non sei ancora pronto. In ogni caso il mio intervento non ha alcun intento polemico.
    Un saluto

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    1. Anche le polemiche sarebbero benvenute su questo blog, abbiamo voglia di trovare interlocutori con cui confrontarci.
      Quanto ai vini di di Gravner, in effetti un modo di spiegare la mia posizione può essere di considerare che non sono ancora pronto. Oppure che ho un'altra opinione. Concettualmente sono affascinato dai vini di Gravner, sui risultati concreti invece ho altre preferenze.
      Ricambio il saluto e spero di leggerti ancora.

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  8. L'inciso dell'anonimo "per i quali tu forse non sei ancora pronto" mi ha fatto riflettere....ma come si fa a sapere quando si e' pronti per alcuni vini? Chi lo decide? Il fatto di non condividere un commento del campione del mondo sulla "bevibilita'" dei vini di Gravner e' di per se' indice di immaturita', nel senso di non essere ancora in grado di capire il vino? Cioè se uno più esperto di te dice una cosa che non condividi per forza devi rassegnarti all'idea che abbia ragione lui? Se prendi 20 espertissimi siamo proprio sicuri che diranno la stessa cosa? Mah....che bello sarebbe conoscere l'opinione di Josko.....

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